Per il primo ministro britannico, Boris Johnson, il segreto del “successo” della campagna vaccinale anti-Covid portata avanti dal suo governo risiederebbe nel “capitalismo” e nel senso di “avidità” intrinseco in questo sistema. Il merito sarebbe infatti delle “grandi corporations” che sono motivate dalla volontà di assicurare “buoni profitti ai loro azionisti”. La battaglia al Coronavirus starebbe quindi per essere vinta grazie a “Big Pharma”, cioè le multinazionali farmaceutiche che hanno prodotto i vaccini in fase di distribuzione. Che l’ex sindaco di Londra si esprima in questo modo non è una sorpresa. Johnson ha di fatto dedicato la sua intera esistenza alla difesa dei grandi interessi del suo paese e per questo è stato ricompensato in modi infinitamente superiori ai suoi meriti, sia dal punto vista economico sia da quello della carriera politica.

 

Nel caso della pandemia in corso e del vaccino, però, le parole pronunciate durante un incontro a porte chiuse con un gruppo di parlamentari conservatori toccano un nervo scopertissimo e non possono essere semplicemente liquidate come una gaffe innocua. L’uscita di Johnson riassume infatti l’attitudine al limite del criminale della classe dirigente di quasi tutto il mondo, impegnata da oltre un anno a difendere il “capitalismo” e coloro che “avidamente” ne beneficiano piuttosto che la vita e la salute di miliardi di persone.

Al contrario di quello che pensa Johnson, la tragedia sanitaria in atto ha aperto gli occhi a moltissimi sull’incapacità del capitalismo di far fronte a emergenze di vasta portata che richiederebbero la mobilitazione di tutte le risorse pubbliche per un fine che non sia la salvaguardia del profitto. È precisamente la natura irrazionale del capitalismo, oltretutto in una fase di crisi avanzata già prima dell’esplosione della pandemia, che ha determinato il fallimento nel prevenire centinaia di migliaia di decessi e, anzi, ha favorito e continua a favorire la diffusione dei contagi.

Basta ripercorrere brevemente le principali tappe della pandemia per rendersi conto di come “capitalismo” e “avidità” abbiano prolungato la crisi e causato devastazione economica e sociale praticamente ovunque. Allo stesso scopo è bene anche considerare come, al contrario delle “democrazie liberali” ispirate dal “turbo-capitalismo”, paesi non certamente socialisti ma che conservano un forte controllo pubblico sull’economia, come Cina o Vietnam, siano stati in grado di contrastare efficacemente il virus e di avere un bilancio di vittime e di danni economici di gran lunga inferiore a quello dell’Occidente.

All’inizio della pandemia, così, i governi occidentali si erano rifiutati di implementare misure tempestive per il contenimento del virus, in modo da evitare danni eccessivi alle attività economiche. Alcuni leader addirittura, come lo stesso Johnson, avevano flirtato con l’idea criminale della “immunità di gregge”, precisamente per continuare a garantire il flusso degli affari. In molti paesi furono solo scioperi e proteste dei lavoratori a costringere i governi a mettere in atto lockdown generalizzati, anche se spesso tardivi e parziali.

Esitazioni e ritardi nel prendere azioni efficaci erano dovuti a un’altra caratteristica intrinseca del capitalismo, la rivalità tra singoli stati e singole economie nazionali, che ha spinto molti governi a non chiudere per primi per non concedere vantaggi ai propri concorrenti. Inoltre, quando molte attività economiche sono state finalmente chiuse, la polarizzazione delle ricchezze e la carenza di risorse pubbliche, omaggio dell’ultra-liberismo capitalista, hanno permesso tutt’al più di destinare aiuti inadeguate a lavoratori e piccole imprese.

Stesso discorso va fatto per le condizioni dei sistemi sanitari nazionali, spesso letteralmente travolti dalla pandemia a causa dei tagli portati dai governi di ogni colore negli ultimi decenni in nome di una scellerata “razionalizzazione” e della corsa alle privatizzazioni. In aggiunta a ciò, bisogna citare le “avide” aziende private, frequentemente legate al mondo della politica, che hanno ottenuto lucrosi appalti con procedure opache per la fornitura di materiale medico di emergenza, kit per i test di positività o software di tracciamento dei contagi.

In contrasto con tutto ciò, e sempre per via delle priorità del capitalismo, l’esplosione della pandemia ha invece stimolato interventi rapidissimi a favore dei grandi interessi economico-finanziari. Negli Stati Uniti, ad esempio, già alla fine di marzo dell’anno scorso il Congresso approvò un colossale pacchetto di “aiuti” all’economia da 2.200 miliardi di dollari, in prevalenza destinati a corporations non esattamente sull’orlo del baratro, per non parlare delle commissioni miliardarie incassate dalle banche che avrebbero gestito le pratiche di accesso ai fondi stanziati.

In generale, le banche centrali hanno poi allargato ancora di più i cordoni delle borse per garantire flussi di denaro virtualmente senza limite che sono andati a gonfiare i mercati finanziari e i profitti dei super-ricchi. Secondo alcune stime, i miliardari del pianeta hanno visto aumentare complessivamente le loro ricchezze di quasi quattromila miliardi di dollari dall’inizio della pandemia, mentre per il resto del pianeta il COVID-19 ha significato per lo più disoccupazione, perdita di reddito e povertà.

Anche per quanto riguarda lo specifico delle considerazioni di Boris Johnson, l’organizzazione capitalistica della società non sta esattamente contribuendo al successo a cui ha fatto riferimento il primo ministro britannico. Per cominciare, l’input alla ricerca e alla produzione dei vaccini non è dipeso dalla sana “avidità” delle multinazionali farmaceutiche, quanto piuttosto da ingenti finanziamenti pubblici finiti nelle casse di queste ultime, le quali, oltretutto, si tengono ben stretti i brevetti e hanno anche beneficato dell’impennata delle loro azioni in borsa.

La stessa frammentazione su base nazionale e la competizione tra le varie aziende produttrici ha se mai impedito uno sforzo collettivo globale che avrebbe potuto unire le risorse economiche e scientifiche per arrivare a un unico obiettivo, seguito dall’organizzazione razionale della distribuzione dei vaccini in tutto il mondo. Anche considerando come un “successo” la campagna vaccinale britannica, inoltre, essa è arrivata dopo quasi 150 mila morti nel Regno Unito e si inserisce in un quadro globale che ha visto andare finora il 90% delle dosi consegnate ai paesi ricchi o a “reddito intermedio”.

Tutti questi fattori spiegano il motivo per cui Johnson e i conservatori hanno cercato di smentire o minimizzare il commento su “capitalismo” e “avidità”, diventato di dominio pubblico solo in seguito a una fuga di notizie. La stampa ufficiale ha più che altro sottolineato il rischio di alimentare le polemiche con l’Unione Europea sulle forniture del vaccino AstraZeneca. In realtà, le parole del premier britannico devono essere rapidamente dimenticate perché, corrispondendo perfettamente al pensiero e all’attitudine delle classi dirigenti, rischiano di innescare un pericoloso dibattito pubblico sul fallimento strutturale della gestione della pandemia, tanto più in presenza, un po’ ovunque, di tensioni sociali esplosive.

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