di Tania Careddu

A quarant’otto anni dalla promulgazione della prima legge, la 337 del 1968, che ha progressivamente regolamentato il settore circense, l’Italia rimane ancora uno dei pochissimi paesi europei e nel mondo a essere privo di una normativa che proibisca l’esibizione degli animali nei circhi.

Seppure con segnali di apertura recenti, riconducibili alla Riforma Franceschini, il Belpaese, in materia, si attiene alle Linee Guida internazionali, emanate nel 1973, solo per la corretta sopravvivenza degli animali custoditi, relativamente a questioni di carattere sanitario e amministrativo.

Non esiste un’anagrafe nazionale degli animali utilizzati negli spettacoli né un registro delle unità circensi che, a occhio e croce, dovrebbero essere circa ottantacinque, malamente enumerabili per la consuetudine delle insegne circensi di suddividersi in più unità o di cambiare frequentemente nome.

Di animali se ne stimano circa duemila fra cavalli, asini, zebre, bisonti, cammelli e dromedari, lama, giraffe, rinoceronti e ippopotami, elefanti, tigri di ogni colore, leoni, struzzi, otarie, pinguini, rettili e piranha.

Ma domatori autorevoli e animali in gabbia non riescono più a suscitare l’interesse di grandi e piccini, come negli anni ottanta. Prova ne sia il calo, in termini assoluti, riscontrato nel periodo 2010-2015, in cui il biglietto al botteghino, invece, aumenta da dieci a tredici euro, sia del numero delle rappresentazioni sia del relativo afflusso di pubblico.

Succede nel Centro Italia, in particolare nel Lazio e in Toscana, roccaforti a tradizione circense, mentre riscontra successo nel Nord Ovest, soprattutto in Piemonte e Lombardia, che rappresenta l’ultimo (unico) baluardo del circo italiano.

Sarà forse per l’attuale trasformazione degli spettacoli, da quelli tradizionali a nuovi format artistici molto evoluti e lontani anni luce dai modelli storici obsoleti, realizzati senza l’esibizione degli animali. Il passaggio definitivo a questo tipo di rappresentazioni - il disegno di legge numero 2287-bis del 16 marzo scorso (o Riforma Franceschini, appunto) ne disciplina la dismissione - avrà, però, dirette conseguenze sull’intera filiera e sulla tenuta della produzione circense.

E peserà, certamente, sul potenziale decremento della base occupazionale e sulla futura collocazione degli animali dismessi, da ospitarsi negli zoo, attualmente saturi, o presso i Centri di recupero per animali esotici, a oggi non in grado di assorbire nuovi esemplari.

Ma potrebbe anche generare un risparmio sia sui costi in termini di sostentamento alimentare sia su quelli necessari a effettuare le visite sanitarie, oltreché su quelli per la formazione del personale (ex) deputato all’addestramento degli animali.

Tanto, messo così, sul circo non si investe più: allo stato, infatti, i contributi del Fondo unico per lo spettacolo destinati al complesso delle attività circensi, sono diminuiti, o dimezzati come quelli per i circhi con animali, mentre aumentano quelli per i circhi contemporanei (e senza animali), tipo il Cirque du soleil. E così, dopo centoquarantasei anni, anche Barnum cala il sipario.

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