di Tania Careddu

Aumenta l’età ed è più stabile la condizione professionale, per entrambi i partner delle coppie che si sottopongono alla procreazione medialmente assistita. Coppie che, dopo tre anni circa di tentativi per ottenere una gravidanza, scanditi da un tempo pari, in media, ai primi quindici mesi di dubbi e domande relativi alla difficoltà di concepire un figlio e dai successivi dieci mesi (minimo) prima di rivolgersi a un medico, in genere il ginecologo di fiducia, hanno un livello d’istruzione più alto e una condizione professionale più certa.

Per metà di loro, e sono sempre di meno rispetto a una ricerca precedente, effettuata nel 2008, la diagnosi di infertilità ha una causa specifica, e per le restanti, il motivo rimane inspiegato: il percorso diagnostico è articolato, soprattutto per le coppie del Sud e delle Isole, in cui l’individuazione della ragione dell’infertilità è sempre meno definita.

Eterogeno, invece, nell’intera penisola, il protrarsi dei tempi di attesa per accedere al trattamento: meno di tre mesi per le coppie che si sono rivolte a un centro privato, fino ai sei per quelle che hanno optato per uno convenzionato e oltre gli undici per quelle che hanno scelto una struttura pubblica.

La scelta, per la maggior parte dei pazienti intervistati nell’indagine “Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in PMA”, realizzata dal Censis, è stata condizionata dalla buona fama, e, in percentuali decisamente inferiori, perché è vicino casa o perché lo ha consigliato il medico curante. Ma c’è, pure, chi è stato orientato dai risultati delle ricerche su internet o perché economicamente più conveniente.

Che sia la FIVET omologa, quella a cui fa ricorso il 60,9 per cento delle coppie, o l’ICSI omologa per il 42,3 per cento del campione (ma non è trascurabile la percentuale di coloro che effettuano la crioconservazione dei gameti o il crio-transfer da scongelamento), il costo non è per tutti accessibile. Sebbene, soprattutto al Nord, le cure siano sostenute dal costo del ticket, il 35,4 per cento delle coppie ha pagato di tasca propria, principalmente al Centro, al Sud e nelle Isole, spendendo, occhio e croce, quattromila euro.

Ma tant’è. Loro, in linea di massima, sono soddisfatte. Meno dal punto di vista degli aspetti psicologici e relazionali sia per le difficoltà legate alla complessità del percorso, in cui è frequente l’assenza di un unico riferimento che possa guidare la coppia nel tempo, sia per l’incapacità dei centri, dove è riscontrabile una carenza informativa, di dare risposte alle problematiche di un vissuto così intimo.

E se il primo tentativo fallisce, fonte di frustrazione che impatta notevolmente nel vissuto della coppie, il 65,4 per cento di queste intende riprovarci e solo il 31 per cento contempla la possibilità della strada dell’adozione, che diventa, invece, sempre più concreta all’aumentare del grado di istruzione.

E la metà delle coppie ammette che il problema dell’infertilità sia un pensiero costante, motivo di disagio sia a causa della medicalizzazione di alcuni aspetti della vita intima, vedi la sessualità, sia per la sensazione di percepirsi diversi dagli altri e per la scarsa comprensione da parte dei familiari e degli amici più vicini. Quelli stessi che, però, scendono in piazza per difendere la possibilità di selezionare l’embrione.

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