di Tania Careddu

Sono più di diecimila i bambini accolti, ogni anno in Italia, con scopi terapeutici. E, negli ultimi venti anni, oltre cinquecentoventimila. Dal disastro di Chernobyl (evento in cui il Belpaese ha cominciato ad aprire le porte ai minori stranieri per motivi di cura e di svago) ad oggi, i programmi solidaristici per ospitarli sono diventati sempre più numerosi e più strutturati. Prevedono soggiorni di ‘risanamento’, per un massimo di centoventi giorni l’anno, consistenti nell’assunzione di alimenti sani, soggiorni in luoghi salubri, cure mediche e controlli preventivi.

Oltre a ciò vi sono programmi di ‘socializzazione’ basati sull’accoglienza in un ambiente sereno, con una quotidianità di cura, basati sulla condivisione del principio di solidarietà. L’obiettivo é trasformare la paura di luoghi sconosciuti e lontani in una possibilità, per i bambini che provengono da aree a rischio, soprattutto dal punto di vista sanitario, di incontro e confronto.

Quelli ospitati nel 2015 provengono, principalmente, dalla Bielorussia e, a seguire ma con grande distacco numerico, dalla Bosnia Erzegovina, dalla Federazione Russa e dall’Algeria e hanno un’età che oscilla fra gli otto e i dodici anni. Coloro che arrivano dai paesi dell’ex Jugoslavia, provengono, in genere, da strutture di accoglienza; gli altri, da contesti famigliari.

Anche in Italia vengono accolti, quasi sempre, soprattutto nei centri urbani sotto di diecimila abitanti, da genitori o da famiglie senza figli, con un’età superiore ai cinquant’anni considerato che la scelta di ospitarli impatta sull’organizzazione della vita quotidiana e sulla gestione dell’economia domestica.

Secondo quanto si legge nel report "Minori stranieri. Il fenomeno dell’accoglienza temporanea in Italia nel 2015", realizzato dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, le regioni italiane più generose verso questo tipo di accoglienza sono quelle del Nord Ovest: in testa la Lombardia, poi Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, nelle quali trova accoglienza oltre un terzo dei minori, seguite dalle Isole e dal Sud. Carente il Centro Italia, eccezion fatta per il Lazio.

Ma non tutto è così semplice. In più occasioni, i percorsi di risanamento sono stati demonizzati da più parti, sia perché letti come un sistema che provoca danni nei bambini abbandonati che nel loro paese vivono in orfanotrofio e, per poche settimane l’anno, conoscono, ancor prima dell’affetto di una famiglia, il consumismo sfrenato.

Perciò, seppur migliorati sotto il profilo fisico, tornerebbero malati sotto quello psicologico, inquinati nell’atteggiamento mentale e culturale. Viene poi messo l’accento anche su un altro aspetto: intorno al fenomeno dell’accoglienza temporanea si creerebbe un indotto che interessa numerosi attori.

Si muovono, infatti, quasi tutti gli alberghi della Bielorussia quando accolgono le famiglie italiane; si incrementa anche buona parte del fatturato della compagnia aerea Belaria e un gran numero di interpreti, traduttori e accompagnatori (anche improvvisati) ‘sfruttano’ il fenomeno, rendendo i bambini solo uno strumento. Utile anche, a volte a bypassare le lungaggini per l’adozione. Ma questo è un capitolo a parte.

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