di Tania Careddu

Dai CARA ai centri SPRAR, fino ai CAS, si sono susseguite strutture tutte preposte all’accoglienza temporanea dei migranti in Italia. In attesa dell'efficacia, è rimasta solo la consueta inadeguatezza. Oltre che delle dimensioni rispetto a un incremento, prevedibile, degli arrivi, anche di un sistema di monitoraggio (indipendente) sull’amministrazione dei centri e sul trattamento degli ospiti.

Nel Belpaese, dietro la parola accoglienza si nasconde un mondo che ha poco a che fare con i diritti umani e molto di più con quello dell’illecito, del business, delle truffe, delle frodi e del peculato. Motivata dall’emergenza piuttosto che da un’azione programmata, l’accoglienza dei migranti rappresenta, da troppi anni, una facile fonte di guadagno per chi si accaparra i bandi o per chi riceve affidi diretti.

La scelta di una gestione emergenziale consente di scavalcare regole e procedure ordinarie nell’affidamento dei servizi, rende totalmente opaca l’assegnazione di appalti e di finanziamenti pubblici, abbassa il livello dei controlli sulla realizzazione degli interventi destinati ai migranti e crea sacche di speculazione privata. Davanti agli occhi complici delle istituzioni.

Si, perché secondo il capitolato d’appalto, ogni gestore sarebbe tenuto a produrre una relazione dei servizi erogati e delle attività svolte e la prefettura, ente appaltante, dovrebbe controllare periodicamente quanto dichiarato. Dunque, stando a quanto riportato del dossier redatto dalla Campagna LasciateCIEntrare, Accoglienza: la vera emergenza, delle due, l’una: o i controlli non vengono effettuati o vengono espletati in maniera sommaria, quando non ambigua (agganciata alle regole degli interessi dei privati che continuano a moltiplicare i loro proventi).

Degni di sospetto anche i criteri di affidamento delle gestioni. Sembrerebbe che: quello del bando al ribasso equivarrebbe a una carenza grave dei servizi forniti, indispensabili alla persona; e quello per cui può essere ammesso a partecipare alla gara un soggetto che ha effettuato accoglienza per almeno un biennio negli ultimi cinque anni (ad personam?), avrebbe permesso l’entrata nel circuito dell’accoglienza di persone responsabili dell’affair ENA (il piano Emergenza Nord Africa del 2011, che a oggi risulta essere nelle mani di quattordici procure).

Un’accoglienza gestita da pochissimi, sempre gli stessi, che fanno comodo alle prefetture e che proseguono ad accumulare numeri di persone, a stiparle in posti improponibili e a guadagnare miliardi senza mai proporre un approccio virtuoso. Continuando a gestire centri (o ad aprirne di nuovi) senza avere nessuna reale competenza ma perseverando, impunemente, nelle attività di lucro.

Di fronte a un sostanzioso disinteresse degli enti locali, soprattutto nel caso dei CAS, per i quali non esiste nessun elenco pubblico, della loro ubicazione e di chi li gestisce, oltreché nessuna trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto.

Fino a quando non scoppia la bolla e piovono denunce. Per aver gonfiato rimborsi e numeri delle presenze nelle strutture allo scopo di ricevere maggior contributi dal ministero dell’Interno, per mancata erogazione degli stipendi ai dipendenti, per l’appropriazione dei soldi dei money gram, inviati dai famigliari ai migranti.

Un’accoglienza fatta di rapporti malati fra istituzioni ed enti gestori e di risposte inevase, sulla pelle di esseri umani mantenuti in condizioni di non poter raggiungere una propria autonomia. Per una prima accoglienza senza fine.

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