di Tania Careddu

Su dodici milioni e quattrocentomila anziani, quasi dieci milioni vivono in case di proprietà, cioè l’80 per cento della popolazione anziana italiana. Ma soli nella maggior parte dei casi, in due milioni e oltre cinquecento mila abitazioni. E di grandi dimensioni, con più di quatto stanze, soprattutto nel Nord Est e in Toscana. Case vecchie, costruite, nel 35,4 per cento dei casi, prima del 1961 e, nel 19,5 per cento, addirittura prima del 1946. Fortunatamente, l’87,2 per cento risulta in ottime o buone condizione rispetto al 12,8 per cento che le presenta mediocri o pessime.

Realizzate in epoche e con criteri costruttivi e tipologici non in linea con le esigenze rispondenti a una popolazione anziana, sono prive di ascensori nel 76,1 per cento, mancanza che preclude a tre quarti della popolazione anziana la completa agibilità della propria abitazione, in particolare nei rapporti con il contesto di quartiere e urbano e con la vita sociale, e nel 20,8 per cento, scaldate da una fonte di calore che non corrisponde agli impianti di riscaldamento che si convengono a un’abitazione ristrutturata adeguatamente.

Le condizioni di particolari criticità si notano principalmente nei comuni inferiori ai cinquantamila abitanti, dove la presenza di anziani è pari al 66,8 per cento, in cui le costruzioni risalgono al 1919 e sono prevalentemente di piccole dimensioni. Quelle più ampie, a livello regionale, sono situate soprattutto nelle Marche, nel Veneto e nelle Isole.

Ambienti vetusti, spesso fuori norma in materia di sicurezza e caratterizzati, talvolta, dalla presenza di barriere architettoniche, con dislivelli, porte e portoni troppo stretti, vasche da bagno inaccessibili; ma gli interventi di ristrutturazione, anche in rapporto alle mutate esigenze degli anziani, stentano a essere intraprese. Perché, nonostante sia relativamente ricca sul piano patrimoniale - dato che il 41,3 per cento delle abitazioni risulta di proprietà, appunto -, per posizione e valore catastale, la popolazione anziana è, però relativamente povera sul piano reddituale, mancando di liquidità.

Un patrimonio consistente, dunque, ma sottoutilizzato e spesso con oneri di gestione e manutenzione particolarmente gravosi. Per dare all’anziano più autonomia di vita, dice Abitare e Anziani che ha curato il "Secondo Rapporto sulla condizione abitativa degli anziani che vivono in case di proprietà", sarebbe necessario promuovere politiche abitative di lungo respiro; per impedire il facile ricorso alle case di riposo, permettere loro di vivere (bene) nell’ambiente domestico e il più a lungo possibile. Il che produrrebbe anche rilevanti benefici per la spesa pubblica e il benessere sociale.

Sulla scia di esperienze internazionali ed europee, anche in Italia si stanno sviluppando soluzioni alternative, modelli residenziali innovativi e diversificati: un sistema di alloggi autonomi, accessibili a persone con lieve fragilità e comprensivi di spazi per la vita collettiva, spesso affidati in gestione agli anziani stessi. O tipo cohousing e condominio solidale. Per un invecchiamento non solo subìto, mercificato, eterodiretto ma ‘attivo’. Proiettato alla realizzazione di sé. Anche dopo i sessantacinque anni.

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