di Tania Careddu

Educativa ed economica: due povertà che si alimentano reciprocamente. Carenza di risorse economiche, uguale a disuguaglianze di opportunità educative. Va da sé (o quasi) che bambini nati in contesti socio-economici disagiati possano essere vittime di povertà cognitiva. E così un terzo dei minori di quindici anni che vive in famiglie con un basso livello socio-economico non raggiunge le competenze minime in matematica e lettura, rispetto a meno del 10 per cento dei coetanei cresciuti in contesti famigliari con uno status socio-economico più elevato.

Che, odioso a dirsi, fa la differenza anche sulle possibilità di fruire di diversi stimoli ricreativi e culturali. Perché, essere poveri in Italia significa, anche, non avere l’opportunità di diventare grandi attraverso lo sport, il contatto con la bellezza e la cultura: il 64 per cento dei bambini è in condizioni di deprivazione ricreativo-culturale.

Più al Sud e nelle Isole, le regioni d’Europa con le più alte percentuali in termini di abbandono di chicchessia percorso formativo. Il 15 per cento dei ragazzi italiani tra i diciotto e i ventiquattro anni non consegue il diploma di scuola superiore. E, le differenze a livello territoriale, a parità di reddito dei genitori, testimoniano come la scuola e altri interventi educativi compensino gli effetti negativi sulle competenze cognitive.

Così un minore che vive in Calabria, Sicilia, Campania, Sardegna, Basilicata e Molise ha il triplo di probabilità di non raggiungere le competenze di base in matematica rispetto, per esempio, a un coetaneo della Provincia Autonoma di Trento. Che, insieme al Veneto, al Friuli Venezia Giulia, al Piemonte e alla Valle d’Aosta, misura valori percentuali sotto il 15 per cento relativamente agli adolescenti che non raggiungono le conoscenze minime. A testimonianza del fatto che l’offerta educativa (che sopperisce alla penuria originaria) deve essere di qualità. Già dai servizi educativi per la prima infanzia: possono contribuire a dare uguali opportunità a bambini nati in contesti svantaggiati.

Perché “la povertà educativa non può essere un destino ineluttabile e non è accettabile che il futuro dei ragazzi sia determinato dalla loro provenienza sociale, geografica o di genere”, sottolinea Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa Save the Children, in occasione della presentazione del Rapporto "Illuminiamo il futuro".

Cosa fare per ridurre le distanze? La Milano sostiene che “le enormi diseguaglianze che oggi colpiscono i bambini e i ragazzi in Italia vanno superate attivando subito un piano di contrasto alla povertà minorile e potenziando l’offerta di servizi educativi di qualità: i dati ci dimostrano che i servizi per la prima infanzia, le scuole attrezzate, le attività ricreative e culturali possono spezzare le catene intergenerazionali della povertà”.

“I dati che emergono dalle nostre elaborazioni rivelano un fenomeno allarmante: in Italia, una parte troppo ampia degli adolescenti è priva di quelle competenze necessarie per crescere e farsi strada nella vita”, sottolinea Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. Che aggiunge: “La povertà educativa risulta più intensa nelle fasce di popolazione più disagiate - non dimentichiamo che in Italia più di un minore su dieci vive in condizioni di povertà estrema - e aggrava e consolida, come in un circolo vizioso, le condizioni di svantaggio e di impoverimento già presenti nel nucleo familiare”. Perché essere poveri da piccoli ha conseguenze più negative (e di lungo periodo) che diventarci da grandi.


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