di Tania Careddu

C'è chi lo fa all’esclusivo scopo di decorare (deturpare?) il corpo, chi con finalità mediche e chi per intenti estetici. In totale, sette milioni di persone, pari al 12,8 per cento della popolazione italiana sopra i dodici anni, si tatuano la pelle. Questo quanto emerge dalla prima indagine nazionale, effettuata, dall’organismo Notificato Dispositivi e Cosmetici dell’Istituto Superiore di Sanità, su un campione rappresentativo di ottomila persone.

Più diffuso tra le donne che tra gli uomini, il primo tatuaggio viene realizzato a venticinque anni ma il maggior numero di tatuati riguarda la fascia d’età tra i trentacinque e i quarantaquattro anni; circa un milione e mezzo di persone, invece, ha tra i venticinque e i trentaquattro anni, e tra i minorenni, la percentuale è pari al 7,7 per cento.

Un tatuato su quattro risiede nel Nord Italia, il 30,7 per cento ha una laurea e il 63,1 per cento lavora. Braccia, spalle e gambe, i punti del corpo scelti dagli uomini; schiena, caviglie e piedi quelli preferiti dalle donne. Quasi tutti soddisfatti del proprio tatoo, il 92,2 per cento, anche se un’elevata percentuale ha confessato di volerlo eliminare e il 4,3 per cento ha già provveduto.

Per farli, quasi tutti si sono rivolti a un centro specializzato, il 9,1 per cento a un centro estetico e il 13,4 per cento si è fatto pigmentare il corpo fuori dalle strutture autorizzate. E così, il 3,3 per cento - dato sottostimato - dei tatuati ha avuto complicanze o reazioni avverse: dolori, granulomi, ispessimento della pelle, infezioni e pus.

E però, il ricorso a un medico appare poco contemplato: poco più della metà non ne ha consultato nessuno, il 12,1 per cento si è rivolto un dermatologo, il 9,2 per cento al medico condotto e il 27,4 al proprio tatuatore. Poco più della metà è informata sui rischi, eppure solo il 41,7 per cento è adeguatamente informato sulle controindicazioni di tale pratica. Di più: non tutti sanno che può costituire una rilevante fonte di rischio.

“Capire chi si tatua e dove, come lo fa e con quale consapevolezza, tracciare una sorta di demografia del tatuaggio, significa comprendere meglio le criticità connesse a questa pratica e di quali regole ci sia bisogno perché sia effettuato in piena sicurezza”, dice l’esperto dell’Istituto Superiore di Sanità che ha coordinato l’indagine, Alberto Renzoni. Che aggiunge: “Il 22 per cento di chi si è rivolto a un centro non ha firmato il consenso informato. E’ invece necessario non solo firmarlo, ma che nel farlo ci sia un reale consenso e una reale informazione, considerato inoltre che una fetta consistente delle persone tatuate è rappresentata da minori che potrebbero farlo solo con il consenso dei genitori”.

Anche perché bisogna sapere che “il tatuaggio non è una camicia che si indossa e si leva, è l’introduzione intradermica di pigmenti che entrano a contatto con il nostro organismo per sempre e con esso interagiscono e possono comportare rischi e, non raramente, anche reazioni avverse; per questo è fondamentale rivolgersi ai centri autorizzati dalle autorità locali, con tatuatori formati che rispettino quanto prescritto dalle circolari del ministero della Salute”.

La numero 2.9/156 e la 2.8/633, entrambe risalenti al 1998, prendono in considerazione i rischi di trasmissione di infezioni causate da patogeni e per trasmissione ematica oltre che di infezioni cutanee ed effetti tossici dovuti a sostanze utilizzate per la pigmentazione del derma.

Sono state recepite solo parzialmente dalle Regioni, originando una disomogeneità dell’approccio normativo che, manco a dirlo, non garantisce pari opportunità di tutela di tutti i cittadini, le norme da seguire per il controllo del rischio. Che sono: regole igieniche generali; misure di barriera e precauzioni universali; misure di controllo ambientale. Prodotti, sostanze impiegate e inchiostri utilizzati: da etichettare.

"Si tratta di un fenomeno in crescita che va osservato con attenzione per le sue ricadute sanitarie - afferma il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi - è importante studiare il fenomeno nel suo complesso cercando di comprendere anche chi è la popolazione che si rivolge ai tatuatori per contribuire più efficacemente alla formulazione di una normativa specifica sulla sicurezza dei tatuaggi alla quale siamo stati, inoltre, chiamati a collaborare in sede europea".



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