di Tania Careddu

Ha un peso sociale ed economico. Ed è negli ambiti urbani che assume una connotazione preoccupante, intersecandosi con le problematiche relative all’allentamento dei vincoli di comunità e dei rapporti umani - ancora diffusi e rilevanti nei centri più piccoli - e alla difficile integrazione dei ragazzi stranieri, più numerosi, appunto, nelle grandi città. La dispersione scolastica si attesterebbe al 17 per cento (dati Eurostat) con un trend decisamente positivo di miglioramento - sei punti percentuali di riduzione nell’arco di dieci anni - che lascerebbe ben sperare per il raggiungimento dell’obiettivo italiano, stabilito dal Governo nel 2011, del 16 per cento (sebbene l’obiettivo europeo 2020 si attesterebbe intorno al 10 per cento).

Un buon traguardo se si considera che l’Italia è fanalino di coda fra i Paesi europei. Riguarda principalmente la componente maschile della popolazione studentesca, avendo quella femminile già raggiunto, da cinque anni, l’obiettivo suddetto, quella del Mezzogiorno con punte del 25,8 per cento in Sardegna, del 25 per cento in Sicilia e del 21,8 per cento in Campania. Nel contesto italiano, l’abbandono degli studi, visibile soprattutto fra il primo e il secondo anno della scuola superiore, è tipicamente preceduto da una bocciatura o da un trasferimento ad altra scuola. Il 23,8 per cento della popolazione di studenti nella fascia d’età fra i diciotto e i venti anni non raggiunge un titolo di scuola media secondaria.

Insomma, oggi quasi un terzo degli studenti ha abbandonato gli studi tout court oppure è inserito in percorsi che non permettono l’accesso all’istruzione terziaria (in soldoni, l’università). Ma quanto ci costa? Oltre che sullo sprecato investimento nel capitale umano, la perdita associata all’abbandono scolastico è l’effetto non sul reddito temporaneo ma su quello permanente, ossia su quello mediamente fruibile nel corso della vita; il divario del capitale umano tra uno che non ha conseguito un titolo di istruzione secondaria e uno che l’ha raggiunta si calcola in centosettantaquattromila euro: otttomila e settecento euro all’anno.

L’azzeramento dell’abbandono potrebbe avere un impatto sul PIL con una forbice che va da un minimo dell’1,4 per cento a un massimo del 6,8 per cento. Cause: multidimensionalità delle motivazioni che possono spaziare da disturbi specifici dell’apprendimento e da difficoltà dei minori diversamente abili agli effetti dell’ambiente socioeconomico di provenienza fino alle problematiche di ordine relazionale.

Chi abbandona la scuola lo fa per il cumularsi di una serie di disagi e incapacità, situazioni che difficilmente rendono un individuo altrettanto produttivo quanto colui in grado di continuare il percorso scolastico.

Spesso, i giovani che lasciano la scuola risiedono in contesti sviliti, imprigionati in microcosmi, dove la violenza, l’illegalità, l’individualismo sfrenato sono gli unici elementi a loro familiari. Crescono nell’abbrutimento e nel grigiore di edifici popolari, abbandonati a sé stessi. Spazi costruiti guardando al risparmio economico che a necessità di pensare luoghi capaci di tenere viva una solidarietà (naturalmente) collettiva.

Periferie illuminate solo dall’ombra dei televisori che rimandano a una realtà patinata e distante, contenitori senza contenuto. Privati della possibilità di confrontarsi e meravigliarsi davanti a un’immagine evocativa di emozioni. Chi non si forma non avrà strumenti per interpretare la realtà, per scegliere con maggiore consapevolezza, per apportare un contributo umano nel vivere sociale. Una bellezza che è, e dovrebbe essere, altro.

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