di Tania Careddu

Legami di cuore più che di sangue. Rapporti profondissimi altro che viscerali. Quelli con i figli adottivi che, secondo quanto si legge nell’ultimo Rapporto della Commissione per le adozioni internazionali Dati e prospettive nelle adozioni internazionali, nel 2013, in Italia sono stati 2825, provenienti da cinquantasei Paesi,  grazie a 2291 famiglie. Nonostante il calo del 9 per cento delle adozioni internazionali rispetto all’anno precedente, il Belpaese rappresenta sempre uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario mondiale tanto che la disponibilità delle coppie adottive supera il numero di quelle che portano a termine l’adozione.

Che hanno un’età media in aumento, compresa fra i quaranta e i quarantatre anni; un livello di istruzione alto, quasi il 50 per cento ha un titolo di scuola media superiore e circa il quaranta universitario. Con una professione di tipo intellettuale a elevata specializzazione. Sono coppie che risiedono soprattutto nelle regioni settentrionali, principalmente in Lombardia e in Veneto, o nel Lazio e in Campania che, quest’anno, è la regione nella quale si è registrato il maggior incremento delle adozioni insieme al Trentino Alto Adige.

Quattro le motivazioni che le spingono ad adottare: la più frequente, l’infertilità, poi la “conoscenza del minore”,  già accolto dalla (futura) famiglia in un’esperienza di affido, a seguire il “desiderio adottivo”, letto come l’esigenza di aiutare i bambini in difficoltà e, in ultimo, per chi ha già adottato un figlio, il desiderio di dargli un fratello. E i bambini? Sono soprattutto maschi, mediamente hanno cinque anni e provengono dalla Federazione Russa, dall’Etiopia, dalla Polonia, dal Brasile, dalla Colombia, dalla Repubblica Popolare Cinese e dalla Repubblica Democratica del Congo.

Sono  bambini - è il caso di quelli africani e del sud-est asiatico - che hanno subìto l’abbandono da parte dei genitori biologici presso ospedali o altre strutture, o i cui genitori naturali, soprattutto dei minori dell’Est Europa e dell’America Latina, hanno perso la potestà per effetto di un provvedimento dell’autorità pubblica.

Da qui, la sistemazione in un strutture di accoglienza per un periodo che oscilla tra i diciotto e i quarantotto mesi, a seconda del Paese nel quale sono collocati, così come varia la durata del tempo, solitamente da due a sei mesi, che intercorre tra il momento dell’abbinamento del bambino con gli aspiranti genitori e l’ingresso in Italia.

In mezzo c’è il tempo che passa tra il conferimento dell’incarico a un ente autorizzato e il rilascio dell’autorizzazione all’ingresso, stimato intorno ai due anni. Nel 2013, il 28,7 per cento dei bambini, cioè cinquecentonovantaquattro, è stato segnalato con bisogni speciali, ossia con patologie neurologiche gravi e spesso incurabili, o con bisogni particolari, intesi come ritardo (guaribile) motorio o psichico, spesso conseguenza di una precoce istituzionalizzazione in ambienti non idonei e con scarsi stimoli.

Altri soffrono, in maniera più incisiva, di malattie attribuibili a carenze nutrizionali o a scarsità di igiene. Situazioni difficili da reggere che talvolta sfociano nella tristissima piaga dei rigetti. Ma in una storia d’amore, si sa, ci vogliono coraggio e creatività.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy