di Tania Careddu

Distanze già ampie che si allargano. Compattezza sociale che si disgrega. Conflitto sociale in agguato. Violenza, disoccupazione e invecchiamento. Ma più cultura. Questo il (reso)conto italiano di sei anni di crisi economica. Incrociando i dati di CNA, Censis, CGIA Mestre e Coldiretti, la fotografia che immortala l’Italia dal 2007 al 2013 non è certamente a colori.

In primo piano, l’esclusione sociale e la povertà: nel 2012, le persone a rischio povertà hanno oltrepassato i diciotto milioni, due milioni in più rispetto al 2007. E la difficoltà di far fronte alla quotidianità, alla capacità di mantenere un tenore di vita soddisfacente, ha fatto esplodere l’esclusione sociale, impoverendo, in qualche maniera, la qualità dei rapporti interpersonali.

Agevolando il rischio di un ritorno al conflitto sociale, piuttosto che aprire alla cultura dello sviluppo come presupposto per un maggior benessere. Così, il disagio socio-economico si è tradotto in situazioni di crescente aggressività. Aumentano, dell’8,7 per cento, gli episodi di criminalità: furti, truffe, frodi informatiche, reati di contraffazione di marchi e prodotti industriali, rapine - quarantaquattromila solo nel 2013, per una media di centoventi al giorno - percosse, minacce e ingiurie. Cresce la depressione (nesso tutto da accertare, ndr): stando al Rapporto sulla Felicità dell’Onu, l’Italia si colloca al quarantacinquesimo posto nella classifica mondiale.

Forse poi, ottimisticamente per orientarsi meglio ma realisticamente perché prolungare gli studi è la contropartita al mancato inserimento nel mercato del lavoro, è lievitato il grado di istruzione della popolazione: aumentano le persone che hanno conseguito un titolo di laurea o post laurea o di diploma, sebbene ormai, in termini di probabilità di occupazione, equivalga a una licenza media. Ma, insieme al grado di istruzione cresce anche il numero dei NEET (Not in education, employment or trading), ossia quei giovani fra i quindici e i trentaquattro anni, non più inseriti in un percorso scolastico e nemmeno in un’attività lavorativa.

Sono più di tremilioni e mezzo. E il rischio di disoccupazione, che nel 2014 è balzata al 12,9 per cento, aumenta con l’età: l’incidenza dei NEET cresce più rapidamente nelle classi d’età più avanzate, arrivando alla perdita di quasi un milione di posti di lavoro. Anche perché sono stati spazzati via i generatori di offerta di lavoro.

Centotrentaquattromila piccole imprese, infatti, hanno chiuso i battenti: seicentoquarantamila tra i commercianti, settantamila tra gli artigiani. Fra le cause, gli elevati costi dell’energia e del gasolio, delle tasse - la cui pressione è aumentata di 1,7 punti percentuali - e della burocrazia, che grava di settemila euro l’anno su ogni impresa.

Perciò si riduce il potere di acquisto che si concretizza nel taglio dei consumi alimentari, i quali sono tornati ai livelli minimi del 1981. Si rinuncia al pesce fresco, alla pasta, al latte, all’olio, all’ortofrutta, alla carne e si acquistano uova, farina e miele.

Crollano gelati e merendine e vanno per la maggiore i prodotti low cost dei discount. Rimangono pochi ricchi e molti poveri: i dieci uomini più ricchi d’Italia hanno un patrimonio pari a quello di cinquecentomila famiglie operaie messe insieme.

Secondo la Banca d’Italia, centoventisettemila persone hanno una ricchezza superiore a un milione di dollari e il numero dei poveri è raddoppiato. Per dirla in sintesi, il 50 per cento più povero della popolazione detiene il 10 per cento della ricchezza totale e il 10 per cento più ricco detiene il 50 per cento della ricchezza totale. Se poi nascono dei figli, le iniquità sociali diventano enormi. Ed è così che la popolazione del Belpaese, negli anni della crisi, è invecchiata ed è aumentato il peso della popolazione anziana. Italia più vecchia, e sempre più piccola.

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