di Rosa Ana De Santis

Il caso di Ventimiglia ricorda quello delle altre baby prostitute del quartiere Parioli della Capitale. Questo era stato un business già meglio organizzato: una banda di papponi, un listino con percentuali fissate, un appartamento per gli incontri.

Le due studentesse della Provincia di Imperia, hanno 14 e 15 anni, e il loro mese da prostitute è stato del tutto auto organizzato, con una semplicità e normalità che forse rappresenta il dato più allarmante della storia. Vengono da famiglie “normali” e per loro stessa ammissione, davanti a chi le interroga, dicono che “nulla è mai mancato” dentro casa. I guadagni delle prestazioni sessuali non protette da alcuna contraccezione – cosi pare fossero preferite – sono servite per fare shopping, mentre le foto hot su wapp per ricaricare il telefono cellulare.

Il primo cliente è un giovanotto sbarbato e dall’aria perbene. L’appuntamento è nell’auto del cliente in un parcheggio appartato. Una ragazza seduta accanto al posto di guida, l’altra sul sedile posteriore. Si turnano e decidono di fare tutto rimanendo insieme e vicine per darsi coraggio. Un elettricista, un idraulico, un quarantenne sposato e padre. Poi uno da cui fuggono perché troppo anziano che le martella di messaggi. E infine quel cliente, l’ultimo che le guarda in faccia e vede due bambine e decide di denunciare tutto preso da un senso autentico di vergogna, di colpa o di paura. Chissà.

I commenti sul caso, gli esperti della psicologia scesi sul campo, puntano il dito sulle famiglie smembrate e assenti, sulla società vuota, sul potere insidioso dei mass media e la libertà “sbagliata” dei giovani. C’è questo, ma non solo questo. E’ il tema del sesso e della sua gestione che, totalmente disatteso nel processo educativo dei figli da scuola e famiglia e consegnato al web e alle tv ludiche, sta portando effetti collaterali pericolosi. Conseguenze che un tempo non esplodevano per quei retaggi culturali, moral-religiosi e familiari che oggi invece sono saltati per cambiamenti di ordine economico e quindi sociologico.

I programmi scolastici italiani hanno del tutto disatteso l’importanza di educare i giovanissimi alla sessualità, sia su quei comportamenti necessari a tutelare la propria salute e fertilità, sia per l’acquisizione di una certa consapevolezza psicologica ed emotiva necessaria per una vita sessuale consapevole e non mercificata. Si è passati dalla stagione della verginità e dalla negazione della sessualità per ragioni religiose o per semplice eredità culturale di ascendenza cattolica, all’assoluta mercificazione del corpo e al depauperamento delle funzioni sessuali come atti di sentimento e di rilievo psicologico. Una sorta di alienazione meccanica che ha esposto i ragazzi, anche quelli che provengono da contesti di non disagio sociale, ad essere all’apparenza più liberi e protagonisti e in verità più vulnerabili e molto meno consapevoli di ciò che fanno. La diffusione di alcune malattie a trasmissione sessuale che erano scomparse da decenni, come la sifilide e la gonorrea e le gravidanze tra giovanissime, ne sono una conferma.

L’Italia paga il prezzo di essere vittima della sua ancestrale cultura sessuofobica, di cui la Chiesa ha enormi responsabilità culturali. Se un tempo però bastava non parlarne per salvare le apparenze perché sussistevano dei protettivi di ordine sociale e familiare per quanto odiosi: ci si sposava presto e di solito una volta, le donne avevano un ruolo del tutto interno al nucleo familiare, si iniziava più tardi la vita sessuale per paura dei padri (sempre più le donne dei maschi); oggi questi deterrenti non esistono più e la famiglia, anche perché minacciata dalla crisi economica e disgregata dai nuovi modelli di lavoro e consumo, è meno capace non tanto di controllare, come accadeva un tempo, ma anche di avere tempo e modo di educare.

Non parlarne più e confidare che i ragazzi sappiano tutto aiutati da tecnologie e cultura del “gruppo”, significa consegnare i figli e le figlie ai lupi. Gli stessi di ieri che però oggi non devono fare la fatica di convincere: basta comprare.

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