di Rosa Ana De Santis

Per la prima volta un tribunale italiano ordina ad un ospedale pubblico di eseguire obbligatoriamente una diagnosi pre-impianto. La sentenza è stata emessa dal Tribunale di Cagliari che, rifacendosi alla Corte Europea di Strasburgo verso la quale era stato fatto ricorso da una coppia di genitori, ha stabilito l’obbligatorietà dell’assistenza sanitaria pubblica. Un placet giuridico che rende giustizia alla coppia ricorrente e che d’ora in avanti costituirà, un riferimento giuridico importante. E’ un ennesimo colpo alla legge 40 entrata in vigore dal 2004.

Francesca è malata di talassemia major (la forma più grave) e il marito è portatore sano. Ora l’Ospedale microcitemico di Cagliari avrà l’obbligo di eseguire il test sull’embrione ed evitare l’impianto di quello malato. La vita di questa giovane donna è stata segnata gravemente dalla malattia, in una forma debilitante tra le peggiori, e dalla volontà di costruire con coraggio una vita normale e una famiglia, nonostante la sterilità e la malattia genetica.

Il loro caso rientra a pieno titolo nelle sentenze che hanno fatto scuola dopo l’entrata in vigore della discussa legge. Eppure l’Ospedale li rimanda a casa con una risposta negativa. Inizia allora la battaglia legale per vedersi riconosciuto un sogno, ma soprattutto il diritto alla salute: del futuro bambino (anche se non è questo il motivo della sentenza) e dell’equilibrio psico-fisico della madre.

A differenza di tante coppie che possono permettersi di rivolgersi a strutture private e all’estero (9.000 euro a impianto) Francesca e suo marito non hanno questa possibilità economica ed è questo uno dei principali argomenti su cui è stata fondata la sentenza: il diritto non può ammettere discriminazioni tra pubblico e privato, tra facoltosi e meno abbienti.

La legge 40, a colpi di sentenze, sta diventano sempre di più una scatola vuota. Un’archittettura di facciata che lascia a piedi troppi cittadini e ne compromette in forma decisiva i diritti fondamentali, come la Corte Europea ha più volte denunciato.

Ancora non viene compreso, e questa storia ne è una conferma, come il diritto ad avere un “figlio sano” non abbia niente a che vedere con l’eugenetica e i suoi più crudeli epigoni di nazista memoria. Del resto, se così fosse, dovremmo ripensare anche tutto il percorso di gestazione ormai profondamente medicalizzato. Perché mail le donne si sottopongono ad ecografie morfologiche ed amniocentesi se non per conoscere la salute del feto? Perché mai esiste la fattispecie di aborto terapeutico?

Un’ipocrisia pensarlo solo ancorato alla salute della donna in attesa. Tutti vogliono un figlio sanno e tutti i genitori si prodigano perché durante tutto il corso della vita i figli stiano bene, al riparo da ogni malattia. Perché mai non dovrebbero farlo proprio quando li concepiscono o ancor peggio procurare loro con consapevolezza una malattia, magari grave e mortale?

Francesca, che un giorno sarà mamma, rimprovera allo Stato Italiano e a chi lo guida, di non avere un comportamento laico e soprattutto di non tutelare i cittadini allo stesso modo. I ricchi ad oggi possono sognare un figlio che nasca sano, che non viva di trasfusioni e terapie mediche continue. Le famiglie normali no. Nell’assurdità e contraddizione che un paese democratico e liberare possa tollerare che con i soldi oltre ai sogni, a sfregio di ogni legge,  si comprino anche i diritti.




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