di Mario Braconi

E’ ufficiale: per una somma attorno ai 100 milioni di dollari, Facebook ha acquistato la start-up israeliana Face.com. Si completa così un percorso iniziato lo scorso aprile con la conquista di Istagram, piccola società che fornisce ai suoi iscritti (clienti Apple, e da poco anche Android) la possibilità di archiviare le fotografie scattate con gli smartphone, ritoccandole al volo. Il fondatore di Istagram, Kevin Systrom, aveva inizialmente fatto sapere che la società era valutata attorno ai 500 milioni di dollari.

Zuckerberg era talmente desideroso di portare a casa Istagram da intavolare una trattativa diretta con Systrom senza nemmeno parlarne con il Consiglio di amministrazione e senza il supporto di banche o avvocati. Al termine delle negoziazioni Zuckerberg ha finito per pagarla il doppio di quanto inizialmente richiesto dal suo fondatore, ovvero un miliardo di dollari.

Con Istagram, Facebook capitalizza una immensa quantità di scatti amatoriali: infatti, se la licenza d’uso Istagram prevede che le foto caricate sul sito restino di proprietà di chi le ha scattate, è pur vero che l’azienda si riserva un diritto di utilizzo (non esclusivo) di quel contenuto, da remunerarsi con pagamento onnicomprensivo (niente royalty da pagare per ogni utilizzo, per intenderci). Molte di quelle fotografie hanno per oggetto volti: quelli di fidanzati, compagni, amici, figli, amanti …

Ed è qui che entra in gioco l’ultimo gioiello della corona di re Zuckerberg. Sembra infatti che i software prodotti la società acquistata ieri, Face.com, riescano a “riconoscere” un volto in una fotografia. In questo modo per ogni singola fotografia caricata su Istagram, il codice scritto dagli ingegneri di Face si metterà al lavoro registrando, confrontando e salvando informazioni, fino ad essere in grado di associare a quell’immagine un’identità.

L’amministratore delegato di Face, Gil Hirschon, sostiene in un post ufficiale sul blog della società che “la nostra missione è ed è sempre stata quella di inventare modi sempre nuovi ed elettrizzanti per trasformare il riconoscimento facciale in elemento divertente e accattivante della vita quotidiana delle persone.” Ma le cose non stanno esattamente così.

In generale, la tecnologia di riconoscimento facciale rappresenta un salto quantico nelle interazioni persona-macchina, dal momento che consente per la prima volta ad esseri inanimati di “guardare” in faccia esseri umani e di riconoscerli. Questa funzione per millenni è stata appannaggio esclusivo dell’uomo: persino un neonato, che vede poco e male, a poche ore di vita è già in grado di riconoscere il volto della madre.

Le macchine, insomma, hanno cominciato, in massa, a ricambiare il nostro sguardo. La cosa dà veramente i brividi se si considera che, secondo alcune stime, ogni giorno vengono caricate su Facebook qualche cosa come 200 milioni di fotografie degli utenti. La possibilità che i database di Facebook possano diventare un domani un modo per sorvegliare e controllare le masse non è un più l’esito morboso di deliri paranoici e/o neo-luddisti.

Certo, il social network, tra le altre cose, ci ha consentito di condividere con centinaia di “amici” virtuali emozioni e pensieri momentanei - se rimanessero confinati nella nostra scatola cranica, peraltro, non sarebbe poi un gran danno - ma questa è un’altra storia. Tuttavia, l’interconnessione pesante ha un prezzo. Pensiamo ad una tecnologia come quella dei cosiddetti “smart billboard” (ovvero cartelloni pubblicitari “furbi”, in grado di determinare dall’apparenza il sesso e i movimenti delle persone che li stanno guardando).

E ora abbiniamo quella diavoleria ad un database che contiene qualche miliardo di immagini di persone di cui “conosce” nome e cognome, indirizzo e ogni altra cosa che volontariamente esse decidano di dargli in pasto. Ecco, potremmo avere presto un cartellone pubblicitario che ti guarda in faccia e che in pochi decimi di secondi saprà come ti chiami, che sei single e gay, ascolti musica country e ami le auto sportive. Senza contare che questa tecnologia, applicata su così larga scala, diventerà l’Eldorado di stalker e maniaci vari, che domani potrebbero semplicemente rubare una foto ad una ragazza, per poi scoprire su di lei (in tempo reale e senza sforzo) un mucchio di informazioni: le sue abitudini, i locali che frequenta, eccetera. Il paradiso dell’interazione mediata dal silicio, con qualche click, può diventare l’inferno.

Va detto che Facebook ha già dimostrato in passato un forte interesse per la tecnologia di riconoscimento facciale: talmente forte da far passare in secondo piano ogni considerazione in merito alla privacy. Un software simile a Face era infatti stato attivato per gli utenti americani sin dal lontano dicembre 2010: questo codice, dopo aver “visto” un po’ di foto dello stesso soggetto, provvedeva a proporre una proposta di tag (etichetta) a chi ne caricasse una nuova che contenesse l’immagine di una persona con fattezze simili a quelle riscontrate su altre foto etichettate in precedenza.

Peccato che agli utenti europei il servizio fosse stato attivato senza alcun avviso: c’era sempre la possibilità di fare “opt-out”, ovvero di disattivare il servizio, ma la gran parte degli iscritti non era a conoscenza del fatto che esso era stato messo in funzione. Attualmente la situazione non è chiara. Se si va sul pannello dei settaggi della privacy di Facebook, un menù ci chiede semplicemente chi vogliamo autorizzare a suggerire “tag” su foto che “sembrano riprodurre la tua immagine”. Questo sembrerebbe significare che per default Facebook continua ad ispezionare le foto che “postiamo” e a cercare associazioni con elementi noti.

D’altra parte, come giustamente ricorda PC World, è importante scindere le funzioni che il sistema mette a disposizione degli utenti e quello che i suoi algoritmi continuano a fare, che gli utenti lo sappiano o meno. In altre parole, anche se Facebook disattivasse completamente il riconoscimento facciale come funzione che aiuti gli utenti a catalogare velocemente le foto degli amici, nulla impedirebbe ai suoi meccanismi interni di continuare ad analizzare e catalogare le nostre foto.

Da questo punto di vista, è essenziale che le società tecnologiche dialoghino apertamente con i propri utenti, spiegando loro senza infingimenti quello che sono in grado di fare: solo così si può immaginare un “opt-out” che abbia senso compiuto. E’ infatti difficile rinunciare a qualche cosa che non si conosce nei dettagli.

Va detto che anche Facebook non è l’unico attore interessato alla facial recognition: a giugno dell’anno scorso, Eric Schimdt, presidente del consiglio di amministrazione di Google, dichiarò che la “sorprendente accuratezza” del riconoscimento facciale è “davvero preoccupante”. Una ammissione un po’ ipocrita, dal momento che chiunque si sia gingillato un po’ con gli album virtuali di PICASA (una utility Google per l’archiviazione delle foto) avrà notato che quel software, già diversi anni fa, era in grado, su richiesta, di analizzare tutto il disco fisso alla ricerca di immagini che ci assomigliassero.

Non che il programma funzionasse bene: a chi scrive ad esempio è toccato il lusinghiero quanto incongruo merito di essere scambiato per … David Bowie! Questo solo per dire che a Google l’idea di un software che riconosca i volti delle persone non dispiace. Tanto è vero che Google Plus, il social network della casa di Mountain View, sta attivando un servizio simile a quello di Facebook, dal nome “Find my face” (trova la mia faccia).

La buona notizia è che tale accessorio è attivabile su richiesta (“opt-in”) e che quindi in teoria gli iscritti non dovrebbero avere sorprese. Fermo restando quanto sopra detto per Facebook: ovvero che la semplice potenzialità di analisi è un rischio in sé, indipendentemente dal modo in cui il fornitore decida di condividerla con i suoi utenti. La buona notizie è che esiste un modo per proteggersi: taggare con il vostro nome e cognome splendide foto di alberi e peluche. Per le macchine questo piccolo stratagemma potrebbe essere fatale.

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