di Mariavittoria Orsolato

Da quando nell'autunno del 2006 Mauro Moretti ha preso in mano il timone di Trenitalia le cose sono indubbiamente cambiate, ma di certo non in meglio: se sulla carta sono ancora le Ferrovie dello Stato, nella realtà dei fatti e nella visione morettiana le nostre sono ormai diventate le Ferrovie dell'élite. La rivoluzione di Moretti non ha infatti nulla a che vedere col background da sindacalista che l'ad si porta dietro – Moretti è stato a lungo un dirigente della Filt, la branca della Cgil che si occupa dei ferrovieri – e nella pratica si è concentrata molto più sulla forma che sulla sostanza, riuscendo in quello che la Lega non ha potuto in 24 anni di sproloqui: dividere fisicamente l'Italia.

Certo un Frecciarossa sarà sicuramente più piacevole alla vista rispetto ad un regionale dell'anteguerra ma il drastico ridimensionamento delle tratte e soprattutto dei prezzi, ha fatto sì che per spostarsi da un capo all'altro dell'Italia, l'aereo risulti molto più conveniente del treno. Uno sconvolgimento non da poco nelle abitudini degli italiani che, anche quando sui vagoni e nelle stazioni si mettevano le bombe, lo hanno sempre preferito per i loro viaggi (soprattutto a lunga percorrenza) facendo del treno il mezzo di trasporto nazionalpopolare per eccellenza.

Dacchè si è insediato, Moretti ha fatto di tutto per far dimenticare i propositi e la proprietà pubblica delle ferrovie  - che ormai di statale hanno solo i finanziamenti - e ha ripensato l'intera rete in funzione di una sola e risibile parte dell'utenza, quella coi soldi. Puntando tutto sull'Alta Velocità e lasciando a se stessi i più di 9000 convogli che non hanno lo status di “Freccia”, l'ad di Trenitalia ha volutamente escluso dalle sue preoccupazioni (che ricordiamolo in realtà sono preoccupazioni dello Stato), tutti quei pendolari, quei viaggiatori notturni e di lunghe percorrenze che per un motivo o per l'altro tentano di muoversi su e giù per la penisola.

Usando uno slogan, forma particolarmente amata dai press agents di Trenitalia, peggiora il servizio e aumentano i costi: in uno dei suoi ultimi report Legambiente denuncia infatti come, a fronte di un sensibile aumento degli utenti - +7,8%, arrivando così a 2.830.000 di passeggeri - si sia registrato un drastico taglio dei treni per i pendolari (si va dal 10% della Campania al 20% del Veneto) e, parallelamente, un aumento del costo del trasporto che, nel 2012, è destinato a crescere ulteriormente. Come a dire: “Non avete i soldi per pagare il biglietto di un Frecciarossa o un Frecciargento? Beh, arrangiatevi!”

E pensare che se non ci fossero i contributi dei cittadini a mantenerle, le Ferrovie dello Stato sarebbero peggio di un colabrodo: stando ai conti de Il Sole 24 Ore l'anno scorso il bilancio economico delle FS ha beneficiato di risorse pubbliche per la bellezza di 3.531 milioni di euro. Le risorse pubbliche che affluiscono nelle casse delle Ferrovie sono infatti composte da due grandi voci: la prima, per un totale di 2.493 milioni nel 2010, consiste nei corrispettivi dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali per contratti di servizio - di cui 1.947 milioni sono i ricavi elargiti Regioni, obbligate ad affidare kilometri di chemin de fer senza gara e alle condizioni di Trenitalia - mentre la seconda voce, pari a 1.038 milioni nel 2010, deriva da corrispettivi dello Stato per contratti di programma.

Inoltre le FS hanno ricevuto altri fondi dal Governo: 1.814 milioni di contributi in conto capitale per gli investimenti, che sono pari a 4.074 milioni. Una beneficenza da quasi 6 miliardi di euro che dunque viene del tutto disattesa in termini di servizi al cittadino/contribuente.

Eppure per far quadrare i conti c'è ancora bisogno di tagliare, di eliminare tratte e ridimensionare l'organico. L'ultima mossa in ordine di tempo è stata quella di sopprimere i treni notte e di lasciare a casa gli 800 ferrovieri che li scortavano e li accudivano nei loro tragitti. Tra questi anche la versione nostrana del mitico Orient Express - il treno protagonista dei racconti di Agatha Christie, Ian Fleming e Graham Greene - che da Venezia arrivava a Budapest passando per Belgrado; a dimostrazione che per Moretti la storia, vuoi quella personale dei suoi sottoposti, vuoi quella culturale e a volte mitica di determinate tratte, non conta nulla di fronte ai numeri.

Così come non valgono nulla le proteste dei tantissimi cittadini che dalla Val Susa a Firenze della Tav non ne vogliono proprio sapere. Che, come i parenti delle vittime della strage di Viareggio, vogliono delle risposte. Che come i 10000 ferrovieri licenziati rivogliono il loro posto di lavoro. O che, semplicemente, chiedono di essere trattati in modo dignitoso a fronte del pagamento (a carissimo prezzo) di un sedicente servizio pubblico. Dei “fessi” secondo Moretti, che non avendo una laurea in ingegneria ferroviaria come lui, non hanno diritto di metterci bocca in merito.

Quella dell'ingegnere può quindi essere considerata una gestione cilena dell'apparato ferroviario, a maggior ragione se si tiene conto che lo Stato - inteso come proprietario e come rappresentanza politica - ha avallato ogni sua decisione, dandogli carta bianca in nome del pareggio di bilancio. In quest'ottica Moretti non può non rappresentare il prototipo del “tecnico” che ora, nostro malgrado, ci ritroviamo al Governo: un personaggio che, dimentico della sua funzione di servitore dello Stato, impone sacrifici e malversazioni ai cittadini col solo scopo di fare cassa. Ma d'altronde il suo stipendio da 886.478 euro l'anno qualcuno lo dovrà pur pagare.

 

 

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