di Rosa Ana De Santis

Lo scandalo delle protesi PIP, potenzialmente cancerogene o, come sembra, più verosimilmente a maggior rischio di rottura e reazioni infiammatorie, non riguarda soltanto le 30.000 donne francesi che dovranno essere tutte operate per la sostituzione degli impianti. E’ allarme in altri paesi come la Gran Bretagna, che sembra però più cauta nella procedura degli espianti, e anche in Italia, con una stima di circa 5.000 donne coinvolte. Molto difficile intervenire tempestivamente per individuare queste donne che corrono un serio rischio per la loro salute, a causa della mancanza di un registro delle protesi impiantate.

La questione è stata più volte sollevata, da ultimo dall’ex Sottosegretario Martini, senza però concretizzarsi mai per presunte ragioni di privacy o, più probabilmente, per ragioni di fondi inesistenti. Il Ministro Balduzzi è il primo a evidenziare che i monitoraggi messi in campo negli ultimi anni, fino ad arrivare al ritiro vero e proprio degli impianti considerati pericolosi, sono compromessi dall’assenza di un registro in cui siano riportati i dati personali e la tipologia di protesi del seno impiantate. Il dato ancor più grave è che questa mancanza non riguarda solo le donne che scelgono mastoplastiche additive per fini estetici, ma anche quante hanno messo impianti per ragioni di salute. Le uniche, dichiara il Ministro, il cui intervento di sostituzione, sarà rimborsato dal sistema sanitario nazionale.

A gennaio dell’anno in corso, Il Ministero della Salute aveva annunciato l’indispensabilità di un registro identificativo almeno per gli interventi di ricostruzione mammaria, al fine di tracciare le portatrici di protesi che hanno avuto problemi severi di salute, quasi sempre oncologici. Ad oggi manca infatti una mappa dettagliata e soprattutto omogenea o nazionale di questo tipo di interventi. Quindi ne è compromessa qualsiasi possibilità di casistica generale e completa, consegnando alla statistica ufficiale dati frammentari e di maggiore difficoltà di interpretazione. Ogni ospedale fa per sé, mentre le cliniche sono ancora più difficili da monitorare.

Ne è prova il fatto che di fronte ad un rischio di salute come quello correlato alle protesi PIP la strada raccomandata dalle autorità sanitarie non possa essere altra che quella di invitare i pazienti a contattare autonomamente i chirurghi o i singoli centri coinvolti a convocare i propri pazienti. Nessuna procedura sistematica, capillare e dall’alto.

Peraltro, nel caso delle ricostruzioni mammarie, l’assenza di un registro nazionale, per tutti i tipi di intervento,  ha un doppio effetto collaterale. Oltre a quello di non vigilare efficacemente sui rischi di salute di chi porta protesi, produce, infatti, una significativa riduzione del diritto d’informazione che dovrebbe essere garantito ad ogni donna che deve sottoporsi ad un intervento ricostruttivo.  Le tecniche di ricostruzione sono infatti molteplici: sa va da quelle con protesi a quelle che utilizzano anche o solo i tessuti autologhi ed è fondamentale capire quale sia la più adeguata al proprio corpo, alla propria immagine di sé e in quanti e quali centri si applichino dato che la formazione dei chirurghi in questo senso è tutt’altro che omogenea nel territorio nazionale.

Il fatto che manchi una campionatura istituzionale in un ambito così delicato e fondamentale per il recupero di pazienti oncologiche rappresenta un deficit fortissimo sia sul piano medico-sanitario, che sulla scelta e il percorso di cura che vive ogni donna dopo aver affrontato il cancro del seno.

Quello che poteva essere un provvedimento che avrebbe reso il nostro Paese all’avanguardia non è più all’ordine del giorno. Non ora almeno. Anche se, proprio in questi giorni, in cui le notizie che arrivano dalla Francia hanno riportato all’attenzione il legame fortissimo tra protesi e salute, se ne ravvede tutta l’urgenza. Una relazione tra protesi e possibili complicazioni (anche nel caso di materiali sicuri e garantiti) che l’eccessiva banalizzazione della chirurgia estetica con gli interventi a basso costo ha contribuito troppe volte a sminuire convincendo le donne che si trattasse di operazioni banali, a zero complicazioni.

La mancanza di tracciabilità degli interventi con le protesi è oggi invece il primo ostacolo per intervenire a tutela della salute delle donne, colpite prima di tutto dai danni della disinformazione e dalla scelta di strutture non qualificate con l’idea che la chirurgia plastica sia poco più di un’operazione di maquillage. La nascita di un registro ufficiale è il primo strumento per scongiurare casi PIP. Sull’affidabilità degli impianti scelti non rimane altro, invece, che affidarsi alla deontologia dei medici e al primato della salute su quello del risparmio in bilancio.  Per questo la legge c’è già: è quella sancita dal giuramento di Ippocrate.

 

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