di Rosa Ana De Santis

Lo scenario é quello di Zagabria, terra croata e cattolica, rifugio d'integralismo papalino. E l'occasione é buona per riaffermare, pur senza lanciare anatemi, anzi con un discorso sobrio ma non per questo meno deciso, la centralità della famiglia nel modello sociale cattolico. Famiglia tradizionale, ovviamente, ovvero siglata dal rito del matrimonio, che rifugge da tentazioni di sperimentazione di forme diverse d'unione; non solo quelle tra lo stesso sesso, ci mancherebbe, ma anche ogni convivenza, sia essa una scelta definitiva, sia anche solo una forma transitoria nella sperimentazione di una vita a due. Insomma, Ratzinger non si lascia sfuggire l'occasione di un raduno importante di cattolici per inoltrare, una volta di più, schemi e precetti che, al clero, appaiono dogmi da osservare come fossero precetti religiosi e non scelte politiche di Santa Romana Chiesa.

Del resto, il discorso di Zagabria ha fatto seguito a quanto già detto in ogni occasione e, ultimamente, ribadito in occasione dell'udienza al dicastero per la Nuova evangelizzazione. In entrambe le occasioni l Pontefice ha denunciato la marginalizzazione del cristianesimo dalla vita pubblica, ma soprattutto la perdita di attenzione e sensibilità per la fede e i suoi valori. Intere generazioni sono ormai estranee, secondo il Papa, a quella cultura intessuta sui valori cristiani che, a prescindere dai dogmi di fede, un tempo plasmava ogni atto di vita relazionale e pubblica. Il cristianesimo come una grande ragnatela ininterrotta dalla famiglia alla società, come cultura e come sistema di pensiero, come teorizzava Maritain.

Al dicastero da lui fondato, e oggi guidato da Monsignor Fisichella, Ratzinger affida questa denuncia e l’invito ad una nuova massiccia evangelizzazione. A margine di questa confessione c’è la voglia da parte di molti di appartenere alla Chiesa, senza alcuna coerenza con i dettami della fede, come se essere fedeli fosse la stessa cosa che avere in tasca una tessera di partito o indossare una maglia di calcio.

Un’osservazione che mette in luce sia la miseria degli ultimi tempi con cui la politica ha cercato di avocare alla propria causa campagne sui valori in un clima moralmente scomposto e a tratti imbarazzante, sia la strabordante depravazione autoprodotta che la Chiesa non riesce più a contenere nemmeno ricorrendo all’orrore storico dell’omertà.

Un clima ormai sdoganato di sospetto e diffidenza attraversa la Chiesa, anche in quei luoghi di aggregazione di importante impatto sociale ed educativo come le parrocchie e gli oratori. Per la prima volta non è il Vaticano, la Curia, il potere secolare della Chiesa ad essere lontano. Ma il prete diocesano qualunque e la sua comunità.

Il problema scottante non è l’estraneazione dalla liturgia e dai suoi riti, ma piuttosto il ritorno ad essi senza alcuna partecipazione autentica di fede. Sacramenti di massa vengono somministrati senza alcuna preparazione a cittadini che si dicono cattolici per un giorno, per una festa, per un rito più folcloristico e sociale, che non spirituale. La Chiesa, questo tra le righe del messaggio papale, sopravvive nelle sue pratiche e nelle sue manifestazioni estetiche, senza traccia di un’evangelizzazione profonda.

Non propone soluzioni il Papa teologo, ma invita alla credibilità e alla fede come una scelta viva e totalizzante. A quell’umanesimo integrale, per tornare proprio a Maritain che magistralmente aveva studiato la relazione tra fede e cultura religiosa, che costruisce l’asse portante del credente e di una società che a certi valori s’ispiri seriamente e non solo, per venire alla cronaca spicciola dell’attualità,  in una competizione antimusulmana dai tratti xenofobi, che nulla ha a che vedere con la fraternità delle Sacre Scritture.

Non vogliamo diventare tutti cattolici, ovviamente. Ma è certamente vero che questo Paese aveva, e forse non ha più, un’ispirazione cristiana di vita, più pubblica che non privata. Di questo collante culturale sono rimaste le battaglie gridate per tenere il sondino dentro una ragazza, per criminalizzare una pillola abortiva, per impedire la nascita delle moschee. Esattamente come molto altro negli ultimi anni, anche la fede ha vissuto un progressivo impoverimento, concentrandosi sulle sfide di piazza e perdendo ogni traccia di introspezione e di argomentazione.

Quello che è rimasto è l’impalcatura dei sacramenti e la ritualità, senza le azioni. Che si risvegliano solo quando c’è una legge liberticida da avallare, un aborto da impedire, senza nemmeno il disturbo di troppa riflessione. Finché quel problema, quell’inciampo, quel divieto riguardi sempre la vita degli altri, e consenta per sé, all’occasione, una comoda eccezione.

La Chiesa della doppia via, del potere senza il sostegno della fede è diventata una caricatura di se stessa, una istituzione caratterizzata da una sproporzione di equilibri interni che la restituisce all’opinione pubblica come qualcosa di accessorio, che diventa utile solo in determinate operazioni di marketing, come qualcosa di terribilmente conforme agli usi e ai consumi. Tutto quello che il cristianesimo non era mai stato.

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