di Cinzia Frassi

“La mia filosofia è che per istruire i ragazzi bisogna cominciare quando questi sono ancora molto giovani, ma a causa del divieto non abbiamo ancora iniziato questo processo di apprendimento e solo eliminandolo potremmo vedere se funziona davvero”. Questa la frase “test” infilata da Mark Zuckerberg durante la sua partecipazione all’E-G8. Il CEO di Facebook, intervenuto all’evento collaterale al G8, fortemente voluto dal presidente francese Nicolas Sarkozy, ha in seguito smentito la volontà di mettere mano al divieto che dovrebbe impedire ai minori di 13 anni l’accesso al social network.

Istruire? Processo di apprendimento? A dir poco inquietante. Ma istruire a cosa di preciso? Viene davvero da chiederselo. Soprattutto viene da chiedersi quali sono le qualità del Ceo di Facebook per farne un educatore all’altezza dei nostri tempi. Non è dato saperlo; fatto sta che nessuno ha creduto che l’interpretazione più fedele alle parole su citate sia squisitamente di ordine educativo.

Per coloro che nutrissero ancora dubbi, va detto che Zuckerberg si è affrettato a precisare che “l’educazione è chiaramente l’elemento più importante che guiderà la crescita dell’economia nel lungo termine“. Minori? Crescita economica? Ancora più inquietante: si tratta di un vero e proprio trasferimento sui più deboli di una mercificazione dei rapporti umani dagli adulti ai minori, di un approccio alla rete finalizzato all’assillo del Pil. Del resto, Facebook ha fatto guadagnare un’enormità: perché non “educare” i più piccoli e guadagnare ancora di più?

Questa la strategia di crescita targata Facebook pensata alla luce di sondaggi e ricerche svolti negli Usa e che hanno rilevato una forte presenza nei social network di minori under 13. Nel vecchio continente i dati raccolti recentemente dalla ricerca denominata EU Kids Online, condotta per conto della Commissione europea, hanno introdotto elementi di discussione molto interessanti a Bruxelles. La ricerca ha svelato il comportamento dei ragazzini europei davanti al pc.

Il 77%: questa è la percentuale assolutamente preoccupante di ragazzi di età compresa tra i 13 e i 16 anni che possiede un profilo su un social network. Nella fascia d'età 9-12 anni, la percentuale è del 38%. Questi naturalmente hanno un profilo su Facebook o altro social perché mentono sull’età. Di più: il 25% dei minori che ha un profilo su un social network, come Facebook, dice di avere un profilo pubblico. Ciò significa prima di tutto che i dati inseriti nel profilo quali indirizzo, scuola, città, telefono, foto, contatti e così via, quando inseriti sono disponibili. Tutti possono vederli. E usarli chiaramente per i più svariati motivi, da quelli commerciali fino ad arrivare agli adescatori pedofili.

In secondo luogo questo risultato è emblematico di quanto poco interessi l'aspetto della sicurezza e della privacy in rete. Poco si è fatto e si fa per spiegare ai minori cosa significa privacy e come comportarsi in rete. Il valore e la necessità di protezione di quei dati personali, e dei minori stessi, non dovrebbe essere qualcosa da lasciare unicamente ai singoli, alla loro capacità di capire cosa sia la rete e a quali rischi esponga. In primis ai genitori, che si trovano ad affrontare una realtà sempre più pressante, quella dei social network, nella vita dei loro figli. Privacy è una parola che non porta con se alcun valore per molti internauti, una parola abusata e svuotata di effettiva protezione anche fuori dal mondo virtuale.

Che non si è fatto abbastanza risulta chiaro da altri numeri. Il 56% dei bambini tra 11 e 12 anni - più della metà - sa come modificare le impostazioni sulla privacy, e nella fascia d'età 15-16 anni sono il 78% a saperlo fare. Questa, che viene rilevata come una buona notizia, non lo è affatto. Lo sanno fare? Sì, ma il profilo resta pubblico. Significa che non c'è stato un impegno efficace nell'educazione alla rete di questi minori che, pur sapendo come rendere privati e non accessibili i propri dati personali, semplicemente scelgono di non farlo.

Il sondaggio, che ha avuto come base 25.000 giovani europei, è stato voluto proprio nell’ottica di una revisione, messa in calendario durante l’estate, di alcuni aspetti fondamentali della rete e delle disposizioni in merito a privacy, data retain e di aspetti legati alla sicurezza dei minori in rete.

La vice presidente della commissione europea per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, ha commentato il sondaggio dicendo che “il quadro che emerge assume rilevanza anche in vista della prossima revisione dell’accordo europeo sulla socializzazione in rete più sicura. Tutti i gestori di siti di social networking dovrebbero immediatamente aumentare automaticamente il livello di privacy dei profili dei loro utenti minorenni, rendendoli accessibili soltanto a una cerchia di persone stabilita dagli utenti stessi ed escludendoli dai motori di ricerca online”.

L’età, la rete, la privacy e la sicurezza, sono elementi discussi entrando nel merito in primo luogo dell’aspetto tecnico e in secondo dei risvolti commerciali della grandi web-company. La discussione e le riflessioni di questo mondo tuttavia dovrebbero incontrarsi con altre voci, altri punti di vista. Magari con la filosofia. Lo scorso venerdì si è conclusa ad Avellino l'ultima edizione de "Il borgo dei filosofi", iniziativa inserita nelle celebrazioni per il 150enario dell'unità d'Italia, promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Avellino e dall'ente Teatro.

In questa occasione Zigmunt Buaman, che non ha bisogno di presentazioni, da una lettura molto chiara del significato sociale di Facebook. Il grande pensatore della società liquida spiega cosa nasconde la forte presa dei social network: tutto nasce dalla mercificazione, dal vendere tutto, anche noi stessi. Siamo tutti clienti e venditori allo stesso tempo. In questo contesto facciamo molte azioni a caso, senza programmare.

Facebook, continua Bauman, è solo uno strumento di una strategia che segue la stessa logica del mercato in cui c’é chi compra e chi vende e noi stessi siamo un bene di consumo, di scambio, che si vende facilmente. L’individuo fa tutto ciò perché vuole essere al passo con i tempi, è un obbligo, è prigioniero di questa logica. Ma il web non doveva renderci liberi?

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