di Mario Braconi

A Jesse Mc Kinley, capo della redazione californiana del New York Times, non difettano certo coraggio e curiosità: su incarico del suo giornale, ha deciso di frequentare per un paio di mesi gli adepti californiani di uno dei più rilevanti partiti neonazisti americani. Una copertura minuziosa, visto che Mc Kinley non si è limitato a presenziare a riunioni e raduni del Movimento Nazional Socialista americano (NSM), Sezione California del Sud, ma si è spinto a frequentare la casa del leader locale Jeff Hall.

Il NSM, che si autodefinisce “il più grande gruppo per la supremazia della razza bianca” negli Stati Uniti, conta in realtà non più di 400 membri, sparpagliati in 32 Stati: se non fosse per il loro attaccamento feticista alle divise naziste dei tempi della guerra (li chiamano infatti anche Hollywood Nazis, ovvero nazisti da cinema), passerebbero quasi inosservati.

Capo del movimento é il “comandante” Jeff Schoep, nato nel 1973 nel Minnesota. Benché sia difficile trovare informazioni ufficiali (e vere) sul suo conto, secondo una ONG per i diritti civili (il Southern Poverty Law Center di Montgomery in Alabama), il momento più interessante della sua biografia è un arresto per furto, avvenuto nel 1998.

Tutto si può dire di Schoep, tranne che non sia attaccato alla famiglia, però: quel giorno in cui decise di rubare da un negozio materiale elettronico del valore di 4.000 dollari volle con sé i suoi quattro bambini e la sua compagna. Sfortunatamente la sua sensibilità paterna non fu particolarmente apprezzata dal giudice, il quale, oltre a condannarlo, ebbe parole dure per il “povero nazista” Schoep, accusandolo di “ipocrisia”.

Non che le cose dal punto di vista politico gli siano andate molto meglio: tra le iniziative non memorabili di Schoep si ricordano le campagne di tesseramento a prezzi scontati dirette agli skinhead di destra (solo 35 dollari all’anno, un vero affare) e il reclutamento di minorenni (14-17 anni). Schoep avrebbe potuto fare di più e meglio per il suo simpatico movimento se non fosse stato per il collega John Edward Snyder, capo del NSM dell’Indiana. Il fatto che quest’ultimo si sia rivelato uno stupratore e un pedofilo recidivo può aver reso più cauti i genitori di fede nazista, al momento di affidare le loro proli ariane al movimento di Schoep e soci.

Fin qui c’è n’è abbastanza per capire chi siano in realtà Schoep e i suoi camerati: falliti ed  irresponsabili, convinti di risalire la china mettendo a frutto la loro unica risorsa: l’odio che gli bolle dentro. Eppure sarebbe un errore sottovalutare il “comandante” e quella manciata di disadattati che lo considerano un leader. Basti pensare che una manifestazione del NSM “contro la criminalità negra” a Toledo, Ohio nell’ottobre del 2005 causò gravi disordini, incidenti, e si concluse con l’arresto di oltre cento persone.

Jeff Hall, il contatto di Jesse Mc Kinley, era il rappresentante del NSM per la California del Sud. Era, perché il progetto di seguire i neonazisti per un paio di mesi è stato bruscamente interrotto lo scorso primo maggio dalla morte di Hall, assassinato da uno dei suoi cinque figli, un ragazzino di dieci anni, che lo ha freddato con un colpo di pistola. Secondo la polizia, l’omicidio è stato intenzionale, ma non sono ancora del tutto chiari i moventi. Una tragedia familiare che, oltre stimolare l’attenzione pubblica americana sui gruppi per la supremazia bianca, fa a pezzi l’immagine degli Hall come famiglia felice e “normale” dipinta, con comprensibile perplessità, da Mc Kinley.

Il reportage del giornalista del NYT in effetti descrive bene la surreale coesistenza tra lo stile di vita pacioso tipico di un sobborgo californiano e le esecrabili idee razziste che erano il pane quotidiano a casa Hall. Mc Kinley racconta di mercatini di autosostentamento dove si vendono cinture con la borchia delle SS accanto a magliette di Che Guevara (“è un assassino comunista, ma se vendi una di queste T-shirt stai finanziando il nostro movimento” è stato il pragmatico ragionamento di Hall); di coppie di skinheads (etero, s’intende) divisi tra lo scambio di tenerezze sul pianale di un pickup e le grida antisemite lanciate al successivo comizietto; e di grigliate a base di salsicce e sproloqui contro le razze “inferiori”.

A proposito di razzismo, nella storia del NSM non mancano le situazioni ironiche: pare infatti che il “grande capo” Schoeps (cui alcuni attribuiscono un padre ebreo) sia inviso ad alcuni militanti “duri e puri” a causa della sua attuale compagna, una bella donna dalla pelle ambrata, per metà nera; non solo la donna ha avuto in passato una relazione con un uomo di colore, ma ha concepito assieme a lui una figlia. Benché la ragazza visiti regolarmente la madre a casa del suo arianissimo nuovo compagno, è probabile che non si faccia vedere in uno di quei surreali barbecue in cui si celebrano i fasti della razza bianca.

L’impressione riportata da Mc Kinley, almeno fino al tragico epilogo della sua storia, è comunque quella che la famiglia Hall fosse unita e Jeff un padre molto presente; come questo dato possa riconciliarsi con una predicazione costante di odio e intolleranza non è dato sapere. Come pure è discutibile il verdetto del professore di una scuola parificata, chiamato a valutare il giovanissimo futuro parricida, educato in casa a causa del suo iperattivismo e della sua occasionale violenza: secondo l’ispettore, l’ambiente familiare in cui cresceva il ragazzo era “caldo, amichevole e pulito”, arricchito da “attività manuali, esperimenti e giochi”.

Il ragazzo, concludeva il valutatore, “faceva progressi costanti”: visto quello che ha combinato si può forse dire che si è rivelato addirittura precoce. C’è da sperare che la cecità di questo insegnante sia un caso isolato, conseguenza di totale incompetenza, follia o corruzione. Altrimenti la libertà negli USA potrebbe avere le ore contate.

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