di Mario Braconi

E’ cosa arcinota, perfino banale: a chi abbia un’idea eccellente e capacità di svilupparla è sufficiente un computer collegato alla Rete delle Reti per ottenere successo, denaro e fama: si pensi alla fulgida carriera di un Mark Zuckemberg, trasformatosi in poco più di un lustro da nerd brufoloso a guru multimiliardario. Ecco che ora si presenta un’evoluzione interessante quanto inattesa, in un mondo assuefatto ai miracoli della net-economy: oggi in Rete è persino possibile convertire in veri oggetti fisici, in cose reali insomma, i sogni di imprenditori visionari e squattrinati. Il tutto grazie a Kickstarter, una start-up newyorkese, che si presenta come “la più grande piattaforma di finanziamento al mondo per i progetti creativi”.

Come dice al New York Times uno dei suoi fondatori, Yancey Strickler, almeno all’inizio Kickstarter aveva come obiettivo quello di rendere possibili progetti unici di tipo artistico (la registrazione di un disco o la produzione di un documentario); nulla però impediva che la piattaforma venisse impiegata per facilitare la nascita di strutture relativamente stabili come aziende produttrici di beni fisici, cosa che è puntualmente avvenuta.

L’aspetto veramente rivoluzionario qui è nel fatto che Kickstarter non aiuta i creativi a cercare azionisti o finanziatori; si potrebbe in effetti sostenere che il network si propone di trasformare in flusso monetario il collegamento logico tra cliente / fruitore / spettatore potenziali e prodotto / servizio / opera artistica potenziali. A chi l’ha concepita, insomma, non interessava che la piattaforma generasse “attori” che per loro stessa natura influiscono sulla struttura patrimoniale dell’impresa produttrice, quali azionisti o finanziatori. Essi, infatti, a fronte del proprio impegno finanziario, acquisiscono quote di proprietà o caricano l’impresa di debito finanziario: per Kickstarter è importante, al contrario, assicurarsi che le idee dei creativi rimangano totalmente di loro proprietà.

Il meccanismo di finanziamento è simile a quello utilizzato dai siti di social buying come Groupon: ai creativi viene concesso uno spazio per poter presentare il loro progetto. A quel punto gli iscritti alla piattaforma hanno la possibilità di impegnare del denaro per acquistare il prodotto / servizio / opera d’arte. Se entro un certo periodo di tempo prefissato il progetto riesce a raccogliere o superare la somma necessaria a realizzarlo, esso è “validato”: a quel punto chi ha impegnato una somma la è obbligato a versarla, mentre chi deve realizzare il prodotto / servizio / opera dovrà cominciare a lavorare per trasformarli in realtà. Se invece il progetto non si rivela sufficientemente interessante da guadagnarsi crediti sufficienti dal proprio mercato potenziale, tutti sono liberi da impegni, tanto chi si era dichiarato disponibile a pagare il potenziale prodotto dell’ingegno, quanto chi avrebbe dovuto realizzarlo (è il cosiddetto “finanziamento tutto-o-niente”). Si tratta di un modo geniale di testare idee o fare vendite condizionali praticamente senza rischio.

Il New York Times cita alcuni esempi di progetti andati a buon fine, ovvero di idee che, grazie al supporto dei potenziali clienti iscritti a Kickstarter, sono diventati prodotti: i "Coffee Joulies", degli oggettini di metallo a forma di chicco di caffé che, una volta immersi in una tazza di caffè all’americana, dapprima lo raffreddano consentendo di berlo senza scottarsi, e poi rilasciano il calore accumulato in modo da mantenere la bevanda a temperatura costante; il "Tik Tok", una  specie di cinturino da orologio... senza orologio, al centro del quale può essere collocato un iPod Nano ultimo tipo, un accessorio molto utile per chi va a correre; il "Glif", supporto per iPhone che consente di servirsene senza usare le mani; e "The Cosmonaut", un pennarello a punta di gomma per scrivere sull’ iPad.

Si noti incidentalmente che i progetti di maggior successo sono complementi ai prodotti Apple. Non si può che dare atto a Steve Jobs di aver rivoluzionato due semplici attività, come sentire la musica e usare il telefonino, al punto da produrre nuovi comportamenti sociali e da generare una serie di nuovi “bisogni”, solo qualche anno fa nemmeno ipotizzabili. Eppure è deludente pensare che uno strumento tanto potente come Kickstarter venga impiegato principalmente per realizzare gadget superflui e che non sarebbero esistiti se non vi fosse stata una grande impresa globale.

Nota il New York Times come il successo di Kickstarter sia dovuto, oltre che al genio di chi l’ha ideato, a dei nuovi bisogni psicologici tipici degli Stati Uniti post-crisi: stabilire una connessione più stretta tra chi produce e chi consuma e capire da dove proviene ciò che si compra. Certo, si può sorridere di una società talmente adusa al superfluo da decretare il successo commerciale di uno strano gadget che raffredda il caffè e poi lo riscalda; poiché però i produttori hanno deciso di commissionare la produzione dei "Coffee Joulies" ad un’azienda in crisi dello Stato del New York, che spera così di risalire la china che la ha condotta a ridurre la sua forza lavoro da 160 a 15 dipendenti, non si può negare che questo nuovo modo produrre prescindendo dal grande capitale e prestando maggior attenzione a come si produce possa avere effetti molto benefici sulla società.

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