di Vincenzo Maddaloni

Non ci sono più dubbi ormai. La Rivoluzione araba è un processo inarrestabile del quale non sappiamo né quanto durerà, né quale delle sue fasi stiamo vivendo; tuttavia possiamo intuirne gli sbocchi finali che difficilmente potrebbero essere di nostro gradimento. Beninteso, molto dipenderà dagli esiti della Rivoluzione araba, ma moltissimo dal prezzo del petrolio, che a sua volta dipende dall'Arabia Saudita, alla quale non è piaciuto il modo con il quale il presidente Barack Obama sta gestendo la crisi nordafricana.

Sicché i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita hanno raggiunto il livello più basso dai tempi della seconda guerra del Golfo, quando nel 2003 l'allora presidente americano, George W. Bush, lanciò l'invasione dell'Iraq per spodestare Saddam Hussein. Siccome oggi la principale minaccia alla sicurezza dell'America è il suo deficit, come ha ammesso il capo di stato maggiore della Difesa Mullen, se il prezzo del petrolio andasse oltre il previsto potrebbe scatenare un’ altra guerra. Naturalmente, un’altra “guerra di religione”.

Pertanto, si prospetta la minaccia di essere di nuovo coinvolti in una storia tragica come è accaduto con l’Iraq e l’Afghanistan, poiché gli Stati Uniti d'America, l’unico impero rimasto nel mondo, pur di conservare la loro egemonia economica non disdegnano il ricorso alla forza. Essi si avviluppano in una sorta di fondamentalismo che fa della dottrina Monroe ("L'America agli americani") il loro vangelo che, dopo l’11 settembre, lanciò un avvertimento al mondo intero: «Si cercherà di mantenere l’egemonia degli Usa  nel pianeta con il consenso, o con le guerre se questo diventasse necessario». Così finora è sempre accaduto, soltanto gli scenari che fanno da fondale a queste tragiche vicende sono di poco cambiati.

Infatti, se la maggior parte del petrolio del mondo non si trovasse sotto i piedi dei musulmani, sicuramente l’Occidente non si sarebbe interessato all'Islam. Sono i petroldollari che ne hanno stimolato lo studio e l’approfondimento fin da quando cadde l'Impero Ottomano. Gli Stati creati dai Paesi vincitori della Prima guerra mondiale - Iraq, Kuwait, Arabia Saudita - erano stati inventati per essere piegati agli interessi delle compagnie petrolifere. Per la gran parte del Novecento, gli interessi nazionali e delle compagnie petrolifere hanno ghettizzato l'Islam amplificando, con il sostegno dei media su scala planetaria, l’immagine di Paesi governati da ricche élites, o da dittatori brutali, con le popolazioni oppresse non tanto dai cattivi governanti, bensì dalle regole del Corano.

Dopotutto organizzare il discredito non è stato un’impresa ardua, poiché all’Islam è venuto a mancare, per secoli e secoli, ogni mediazione da parte del  cristianesimo, il quale ha dovuto percorrere una strada abbastanza lunga, piena di giri tortuosi e di contraccolpi, prima di giungere a formulare (1962 - 1965) i documenti del Vaticano II: "Dignitatis humanae" (Dichiarazione sulla libertà religiosa) e "Nostra aetate" (Dichiarazione sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane).

Sicché la ghettizzazione ideologica e politica si è ancora di più esasperata durante gli anni della guerra fredda, quando l’Urss e gli Usa usarono il mondo islamico come spazio ideale per il loro Great Game; senza tenere in alcun conto che i figli di quegli uomini che stavano subendo la loro violenza avrebbero potuto un giorno ribellarsi con altrettanto furore.

L'11 Settembre ne ha segnato per molti versi il culmine aprendo una vera crisi tra gli Stati Uniti e lo stato arabo per eccellenza, l’Arabia Saudita. Osama Bin Laden - è storia nota - apparteneva a una ricca famiglia saudita i cui affari legati a quelli degli Stati Uniti e della famiglia Bush erano ben consolidati. Quel rapporto privilegiato assieme a quelli di altri sodalizi, legati agli interessi di compagnie petrolifere come la Aramco, anzi la “Saudi Aramco”, sconsigliavano ai media occidentali di indagare sull’operato dei principi sauditi. Poi, dopo Bin Laden, la caccia s’è aperta e la stampa americana s’è riempita di giornalisti in cerca di scandali sauditi e non soltanto sauditi, poiché ogni pretesto è buono per tenere desta l’attenzione su come va “interpretata” la realtà musulmana.

A riprova di quanto l’interesse per le “cose islamiche” sia diffuso tra gli americani c’è stato qualche giorno fa il gesto inconsulto del - si fa per dire - reverendo Wayne Sapp il quale. bruciando una copia del Corano ha dato la stura in tutto il mondo musulmano a spaventose reazioni a catena che stanno facendo temere non soltanto negli Usa, ma anche nell’Europa intera, un ritorno all’epoca delle Crociate, quando l’epiteto "infedeli" designava appunto i musulmani.

Si tenga a mente che soltanto allora il crociato divenne superiore al cavaliere, una consacrazione ufficiale di grande risonanza poiché pronunciata dal pontefice Urbano II nel sermone a chiusura del Concilio di Clermont-Ferrand, che decise appunto la prima crociata (1095): «Avanzino per impegnare contro gl’infedeli una lotta giusta, che li colmerà di trofei, quanti, in altri tempi, erano soliti condurre illecitamente guerre private contro i fedeli...».

Non so se il reverendo Sapp conosca questa pagina di Storia sebbene si dichiari un crociato del Ventunesimo secolo; certo è che, con il suo protagonismo isterico, ha ricordato al mondo il primato della religiosità detenuto dagli Stati Uniti, dove il novanta per cento della popolazione si dichiara credente nel divino e il settanta per cento nell'esistenza degli angeli, come rivelano i sondaggi. Infatti, l'America dei bianchi - è storia nota - si divide tra le molte Chiese e le molte Sette e tutti fanno a gara a chi è il più bigotto. Tant’è che il Washington Post (a caccia di copie) ha scavato a lungo nel mistero dell’Obama-musulmano, la leggenda cui credono oltre il vento per cento degli americani.

Se così tanti suoi concittadini ignorano la vera religione del presidente, è perché Obama è il primo leader, da tanto tempo, a praticare la propria fede quasi di nascosto. Non lo si vede ripreso in tv tutte le domeniche in chiesa con il suo pastore. Forse è stata una scelta inevitabile dopo che i suoi rapporti col reverendo Wright (un pastore dai toni molto radicali nel denunciare il razzismo dei bianchi, (nella foto a lato col presidente Obama) lo inguaiarono in campagna elettorale.

Certamente il fatto che la sua religiosità non sia “esibita” sui mass media gli nuoce. Il clamore mediatico invece ha avuto una resa redditizia per il reverendo Sapp  e pure per il fondamentalista Terry Jones, un altro bigotto “super” che lo scorso 20 marzo, nella sua sperduta chiesetta in Florida, ha organizzato addirittura un "processo al Corano".

Basta questo rapido sorvolo sull’America e sugli americani per trovare la conferma di quanto l’Europa teme: anche stavolta sugli sbocchi finali della Rivoluzione araba molto dipenderà dalle decisioni di Washington. Come se l’Europa, pur avendo i musulmani in casa, non esistesse o meglio come se fosse condannata in eterno a trascinarsi dietro agli americani. Beninteso, questo aveva un senso quando nel mondo diviso in due blocchi quello capitalista aveva riconosciuto la leadership agli Stati Uniti d’America. Dopo l’implosione dell’Unione Sovietica e la conversione della Cina al capitalismo economico, la dipendenza non avrebbe più senso.

Eppure, benché siano passati due decenni dalla caduta dell’Urss e poco meno dalla conversione cinese, noi Europa stentiamo a formulare una politica che tenga in maggior conto la nostra realtà e quella vicina che ci circonda. Sicuramente per due motivi: primo, perché (fortunatamente) non abbiamo una dottrina Monroe da riaffermare. Secondo, perché del mondo musulmano conosciamo poco o niente, o meglio, siamo pervasi dai luoghi comuni nella diffusione dei quali i bigotti, appunto, hanno giuocato una grande parte.

Eppure agli occhi dei contemporanei di Carlo Magno, il mondo degli arabi aveva uno splendore da racconto di fate; era entrato nella leggenda con Harun el Rashid, il califfo abbaside di Bagdad. Il che ci porta a distinguere gli arabi e la civiltà araba. I primi sono vivaci, intelligenti, ricettivi, assimilatori. La seconda è opera tanto di arabi che di siriani, persiani, spagnoli, mozarabi, ebrei. Ma soltanto gli arabi sono stati i grandi intermediari. Si sono aperti all’ellenismo e ci hanno riportato Aristotele. E’ giusto e importante ricordarlo, adesso più di prima, perché grande, tragico, avvilente, è il frastuono che ci circonda.

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