di Cinzia Frassi

Si è aperto pochi giorni fa, davanti alla terza Corte d'Assise del Tribunale di Roma, il processo per la morte di Stefano Cucchi, 31 anni, fermato il 15 ottobre 2009 per detenzione di sostanze stupefacenti e deceduto una settimana dopo all'ospedale Sandro Pertini di Roma. "Riguardandomi indietro è una grande cosa che il processo sia iniziato. Per noi è difficile essere qui a ricordare quanto è accaduto. Soprattutto perché siamo convinti che la verità é ancora lontana". Questa è una breve dichiarazione della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, a conclusione della prima udienza. Accanto a lei in aula i genitori di Stefano. Tutta la famiglia si era già costituita parte civile. Gli altri ammessi sono il Comune di Roma e la Onlus “tribunale dei diritti del malato-cittadinanza attiva”.

La verità è lontana. Lo dice perché il processo parte da presupposti diversi da quelli che si aspettava lei stessa. Si contesta la versione del pestaggio per far pagare il conto esclusivamente ai sanitari. Di più: secondo la famiglia la gravità di quanto accaduto non si rispecchia nei capi di imputazione. Sembra che Stefano Cucchi sia stato picchiato dalla polizia penitenziaria proprio mentre attendeva l'udienza di convalida nei sotterranei della Cittadella giudiziaria di Roma.

"Quando Stefano Cucchi è giunto in carcere aveva già lesioni gravi". Questo quanto in sostanza hanno dichiarato i medici dell'istituto penitenziario Regina Coeli di Roma, che visitarono Stefano Cucchi al momento del suo ingresso in carcere, il 16 ottobre ed è proprio ciò che dichiarano davanti ad Ignazio Marino, a capo della commissione d'inchiesta sul caso Cucchi. Sembra che successivamente Stefano avesse rifiutato cure e indagini strumentali e che chiedesse di essere dimesso, tanto che sarebbe sua la firma sul foglio di dimissioni. Non è stata invece ritenuta attendibile, nella fase preliminare, la versione del compagno di cella di Cucchi, un tunisino che fa avere una ricostruzione differente: "Mi hanno ammazzato di botte i carabinieri: me le hanno date tutta la notte", avrebbe detto Stefano al suo compagno di cella.

Queste e altre testimonianze verranno sentite ora davanti alla Corte di Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, e sicuramente faranno discutere. Il processo non si svolgerà a porte chiuse, sono ammessi quindi anche giornalisti, ma non sono state ammesse le telecamere. Verrà anche sentita la testimonianza di una volontaria che sembra avesse parlato con Cucchi durante il suo ricovero nella struttura protetta del Pertini.

Non solo: il pm Francesca Loy sostiene che durante le indagini alcune persone avrebbero messo in atto veri e propri depistaggi. Questi sarebbero coloro che accusarono i carabinieri di aver picchiato Stefano subito dopo il fermo. Verranno anche mostrate alla corte alcune foto scattate prima dell'autopsia che servirebbero per accertare le condizioni di Stefano durante il ricovero al Pertini. La Corte si è riservata di decidere se acquisire o meno queste fotografie.

In tutti questi mesi, fin dalla morte del giovane Stefano, l'attenzione dell'opinione pubblica non ha mai perso di vista questo caso, portato all'attenzione della cronaca anche grazie alla tenacia della famiglia che non ha mai creduto che la morte di Stefano fosse sopraggiunta a causa di una misteriosa malattia bensì per essere stato picchiato e abbandonato a se stesso per giorni.

Ricordiamo che nell'aula bunker del carcere di Rebibbia ci saranno tutti e 12 gli imputati che il 25 gennaio scorso sono stati rinviati a giudizio per la morte del giovane Stefano: i sei medici dell'Ospedale Pertini, Aldo Fierro, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo, rinviati a giudizio con l'accusa di abbandono di incapace; Rosaria Caponetti, dirigente medico del Pertini, per abuso d'ufficio e falso ideologico; e ancora per abbandono di persona incapace, i tre infermieri, Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe; le tre guardie carcerarie, Antonio Domenici, Nicola Minichini e Corrado Santantonio , per lesioni personali e abuso di autorità.

Pare una vicenda oscura, misteriosa. Un ragazzo viene fermato per detenzione di sostanze stupefacenti e sei giorni dopo muore. Chi dice che è entrato in carcere già con lesioni sul corpo, quelle riscontrate dall'autopsia, chi dice che è stato picchiato dalla polizia penitenziaria, chi dai carabinieri. Fatto sta che fa la spola dal Fatebenefratelli al Pertini, dove muore. Qualcosa tuttavia si è già riscontrato tanto che Claudio Marchiandi, funzinario del Prap, il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, si è guadagnato una condanna a due anni con rito abbreviato.

Nelle motivazioni della sentenza, il gup Rosalba Liso scrive chiaramente che Stefano "doveva essere necessariamente internato" al Pertini per "evitare che soggetti estranei all'amministrazione penitenziaria prendessero cognizione delle tragiche condizioni in cui era stato ridotto" e che tutto "venisse portato a conoscenza dell'autorità giudiziaria". In questo modo sarebbe rimasto "al riparo da sguardi indiscreti" e sottratto "intenzionalmente a tutte le cure di cui aveva bisogno". Secondo il gup, Marchiandi abusò delle proprie funzioni di pubblico ufficiale, e arrivò a imporre il ricovero di Cucchi al Pertini presentandosi fuori dal turno di lavoro, di sabato pomeriggio, proprio per riuscire ad ottenere l'ingresso di Cucchi in un reparto in cui non doveva stare, date le sue gravi condizioni.

Si legge ancora che "le condizioni fisiche di Stefano erano palpabili e visibili a ciascuno, erano ben note nel contesto della polizia penitenziaria per la pluralità di soggetti che l'avevano visto ed accompagnato. Non c'era spazio a dubbi di sorta in ordine al fatto che Stefano fosse stato picchiato". Molti i punti oscuri di questa drammatica vicenda che fin dall'inizio ha riportato all'attenzione di tutti i casi di decesso in carcere o in situazioni analoghe, in caso di fermo o di arresto per esempio. Secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali Italiani, Associazione Il Detenuto Ignoto, Associazione Antigone, Associazione A Buon Diritto, Redazione Radiocarcere, Redazione Ristretti Orizzonti, "lo scorso anno per “cause naturali” sono morti 107 detenuti, la loro età media era di 39 anni: 73 casi sono stati archiviati senza alcuna ulteriore indagine, dopo che dalle ispezioni cadaveriche non erano risultati segni di violenza e classificati come decessi causati da malattia. Nei restanti 34 casi è stata avviata un'inchiesta giudiziaria, con ipotesi di reato di varia gravità.

La prossima udienza è fissata per il 28 aprile quando per prima cosa verranno sentiti i carabinieri che fermarono Stefano Cucchi per droga. Il caso Cucchi "è connotato da indubbia gravità poiché s’inserisce in un contesto di generale malcostume sociale e di omertà che, proprio per la passività e la rassegnazione con la quale vengono attualmente vengono vissute dai cittadini, apparirebbe determinato da mera leggerezza, mentre disvela una condotta allarmante. Stefano era nelle mani dello Stato e nelle mani dello Stato è deceduto".

Così le conclusioni della sentenza scritta dal gup e che centra probabilmente il punto oscuro di questa vicenda: malconsutme sociale, omertà, condotta allarmante. Staremo a vedere se il giudice del processo sarà dello stesso avviso.

 

 

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