di Vincenzo Maddaloni

La terapia è per un corpo, non per l’essere umano che si attende di essere trattato con rispetto perché ammalato. A grandi linee questo è l’approccio che il medico dovrebbe avere con il paziente nell’ospedale modello azienda, che marcia con i ritmi e i disagi della catena di montaggio. La Sanità viaggia su quest’unico binario ormai. Beninteso l’immagine è triste, ma rende bene l’idea di quello che si sta diffondendo anche in Italia. Molto influisce la mentalità dei giovani medici, i quali trovano normale la cura del paziente fatta con i protocolli terapeutici e con gli automatismi feroci, da catena di montaggio appunto.

Infatti, ci sarebbe quasi da sorridere se l'appello non fosse dei più autorevoli e non fosse apparso sul bicentenario (1812) The New England Journal of Medicine. La premessa è d’obbligo perché l’appello-denuncia pubblicato sulla rivista edita dalla Massachusetts Medical Society, avalla una svolta epocale. (http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1012691 )

E’ un richiamo forte a tutta la classe medica invitandola al risparmio e quindi a non affidarsi più soltanto alle tecnologie come s’è fatto finora, ma ad impegnarsi nella rivalutazione delle diagnosi che si basano sull’esperienza accumulata e sulle terapie tutte tese a contenere gli sprechi e a limitare gli interventi che sovente - si ritiene - siano eccessivi e incredibilmente costosi. Pertanto - è scritto - d’ora in avanti saranno riformulati i programmi di studio universitari di avviamento alla professione medica proprio sulla base della nuova svolta perché - si sottolinea - se non si interviene subito c’è il rischio di non riuscire più ad assicurare l’assistenza sanitaria alle future generazioni.

Infine, si ammette che negli Stati Uniti la sanità costa troppo e i risultati sono contraddittori, ragion per cui c’è una ragione in più e certamente valida per una revisione dei corsi di studio che preparano i nuovi medici. Naturalmente gli articolisti si dilungano con cifre, esempi e citazioni per dimostrare che in fatto di tecnologia e di know-how sanitario gli americani sono a tutt’oggi i primi al mondo, ma l’appello-denuncia resta.

Dopo tutto l’articolo non è stato scritto per attirare lettori, per “fare  scandalo” come accadrebbe dalle nostre parti. Al contrario, esso è stato sottoposto alla revisione paritaria (peer review) prima di essere pubblicato. Il che vuol dire che è stato valutato da un’équipe di specialisti del settore incaricati a verificarne la validità.  Insomma, la peer review, nata con i periodici scientifici di spessore come lo è appunto The New England Journal of Medicine, «ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo della conoscenza scientifica nella società moderna», come sostengono gli esperti.

Se non fosse così probabilmente non si sarebbe sbilanciato il professor Sean Palfrey titolare della cattedra di pediatria alla Boston University School of Medicine, che qualche giorno fa, sul medesimo periodico, è tornato sul tema con un articolo dal titolo  esplicito: “Il coraggio di esercitare la medicina a basso costo nell’ epoca dell’High-Tech”. http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1101392 . In esso il professore si lamenta perché negli ultimi tempi i suoi studenti invece di fare pratica spendono gran parte del loro tempo a cercare le risposte nel computer come mai gli era accaduto di vedere nella sua esperienza trentennale d’insegnante.

Spiega che ormai è abitudine diffusa tra i pediatri di affidarsi a questa o a quella pillola o meglio a tutte le novità che escono ogni giorno sul mercato, con il risultato di mandare allo sfascio le finanze del sistema sanitario americano. Ma una ragione c’è spiega il professore. E’ la paura folle dei medici di formulare una diagnosi perché: «Ogni volta, ci sentiamo giudicati da tutti: dai nostri colleghi, dai nostri pazienti, dal sistema sanitario, dagli avvocati e naturalmente dai tribunali». E quindi se non si allenta la pressione sui medici, la bancarotta travolgerà il sistema sanitario americano. Pertanto: «Ogni addetto alla sanità deve concentrarsi sui modi per ottimizzare la salute e ridurre i costi, in ogni fase del processo», raccomanda il professore. E invoca: «I docenti devono diffondere la fiducia, raccomandando agli studenti di soffermarsi sulle terapie basate sull’ esperienza, e all’insegna della frugalità. Infine sollecitandoli a consultarsi con i clinici più esperti prima di prescrivere un test o di iniziare un nuovo trattamento».

Da quando è uscito quest’articolo non c’è giorno o quasi che il “The New England Journal of Medicine” http://www.nejm.org/search?q=Perspective non richiami l’argomento, per tenere allertata la casta dei medici e tramite essa far arrivare il messaggio alla popolazione prima di coinvolgere la politica. Dopo tutto - si tenga a mente - l’assistenza sanitaria negli Stati Uniti è poco pubblica e moltissimo privata. Tuttavia poiché la Sanità aziendalizzata non prevede dei distinguo al riguardo l’esempio americano continua a far scuola in tutto il mondo dei paesi ricchi. Infatti, non c’è Paese in Europa che non ne sia rimasto contagiato. Occhio ai giovani, dunque, perché su di essi si fonda il futuro del modello. E dunque, i giovani medici come ragionano, con quali processi mentali arrivano a formulare una diagnosi, a prescrivere una terapia?

Se lo è chiesto su The Lancet, (un altro giornale scientifico, meno di ricerca e più di medicina pratica), Jerome Kassirer, l'ex direttore del New England Journal of Medicine. Anche lui, come il pediatra Palfrey, ha il timore che la facilità di accesso a risposte preconfezionate a quesiti clinici possano avere degli effetti indesiderati. «In medicina il ragionamento richiede una enorme conoscenza di fatti sulla salute e sulla malattia, in materia di fisiologia, di benefici e rischi legati ai test e ai trattamenti», spiega Kassier. «Non basta - continua il direttore di Lancet - aver imparato a risolvere problemi e a prendere decisioni, e non basta neanche sapere trovare informazioni; è anche necessario ricordare le informazioni e sapere come usarle.

Dobbiamo evitare di produrre professionisti dipendenti da superficiali riassunti elettronici, formule opache e pareri di esperti. Devono essere in grado di ragionare in modo autonomo». Dopo tutto quel che sostiene Kassirer è che, nel ragionamento clinico, il vecchio e il nuovo devono raggiungere una nuova sintesi. Facile da dire, ma meno facile da applicare.

In effetti girando tra le corsie degli ospedali in Italia ci si sorprende a notare quante siano le nuove leve. Poi si scopre che molti sono medici assunti con contratti non a tempo indeterminato, trattenuti con borse di studio fantasiosamente racimolate dai responsabili dei reparti, o al lavoro talvolta nelle vesti di semivolontariato. «Bravissimi, forse, ma certamente non così esperti da reggere l'impatto dell'abbassamento del livello di esperienza dei loro ex colleghi e maestri più anziani. Immaginatevi le conseguenze sul piano assistenziale: visite più brevi, stress, aumento delle possibilità di errori diagnostici, diminuzione del tempo e quindi anche della qualità del rapporto tra medici e pazienti», denuncia lo psichiatra Franco La Spina. E quindi un rapporto regolato - come detto - da automatismi feroci, dove siccome tutto si svolge in fretta ed è stravolto «da nuove, terrificanti, burocrazie», non ci si capisce molto.

Si aggiunga pure che lo scenario soffre del forte disinteresse dei Media più attenti all’industria farmaceutica che li irrora di pubblicità. Naturalmente, soffre del disinteresse dei tantissimi che non vi si sentono coinvolti perché convinti che mai qualcosa di terribile, come cancro o infarto, possa loro accadere; perché pervasi della protettiva incoscienza del pericolo che caratterizza ogni persona.  Insomma, «medici e malati - come proclamava Michel Foucault - vengono tollerati come altrettante perturbazioni difficilmente evitabili…». Quasi fossero un fastidio. Eppure non deve essere così, anzi non dovrebbe esserlo proprio. E’ ora di cambiare mentalità, i giovani medici per primi.

 

 

 

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