di Vincenzo Maddaloni

Pare non ci debba essere altra alternativa, perché non c’è giorno che non si sia travolti da un’offensiva mediatica che falsa i fatti per sostenere l’immagine di un mondo diviso in due, ciascuno alternativo e incomunicabile all’altro, sotto la minaccia ora dell’incubo nucleare, ora dell’invasione dei profughi africani, ora dello strapotere della Cina destinata a diventare il numero uno mondiale e via continuando.

Se questo è lo scenario allestito dai media c’è poco da stupirsi di fronte all’apatia di quella vasta parte della società civile che fino all’altro ieri era decisa a lottare per i cambiamenti. Poiché nemmeno quanto sta accadendo da qualche tempo a questa parte sull’altra sponda del Mediterraneo, nel Maghreb, ha offerto lo spunto alle forze progressiste di lanciare una proposta nuova.

Insomma, da troppo tempo si avverte il bisogno di un intervento coraggioso e peraltro originale, capace di avviare un rinnovamento vero. Siccome bisogna pur sempre tenere sott’occhio il mondo poiché facciamo parte della società mondiale, una proposta politica nuova per forza di cose deve tener della realtà globale, al fine di offrire un progetto di riforme inteso non più come modello precostituito di giudizi sulla realtà interna, bensì come processo di analisi politica attenta ai mutamenti socio-economici di un orizzonte vasto. Con il risultato di offrire un progetto politico valido nel quale la società civile possa, ritrovandosi, nuovamente sperare.

Penso che sia ancora un ricordo recente la forte indignazione e la riprovazione che produssero le dichiarazioni di Berlusconi sull’arretratezza dell’Islam, dovute più all’ignoranza storica che alla consapevolezza dell’insulto. Da quando le pronunciò lo scenario in Medio Oriente si è degenerato. Possibile che per le menti che ogni giorno si ripropongono per l’alternativa non ci sia stato un momento di pausa per un minimo di approfondimento, per cercare uno spunto originale, non dico per il risolvere il problema, ma almeno per insinuare il dubbio, stimolare una sorta di resipiscenza, fare un tentativo cercando, per esempio, di guardare il mondo dalla parte dei musulmani? Insomma, quanto basta per correggere il tiro e dimostrare con fatti concreti perché la pensiamo diversamente dagli americani?

Dopotutto, questa politica di aggressione economica e militare che Obama non ha sconfessato, nasce dalle deformazioni del capitalismo che è nato in Europa, e vi si è sviluppato nei secoli. Di qui si è esteso al resto del mondo, anzi questa estensione è stata proprio una delle forme di sottomissione del mondo all’Occidente che ha prodotto l’America imperiale. Sicché davanti agli occhi di milioni di musulmani, non soltanto di quelli maghrebini, si dipana un Occidente in larga parte incomprensibile. Poiché quelle società non lottano contro un capitalismo, un “modello americano” che ignorano, bensì per la loro conservazione, per tutelare quell’equilibrio tra le diverse forze sociali che  l’impegno religioso sovrintende e regola.

Si tenga a mente che nel Corano, il sacro testo di riferimento per ogni musulmano, l’uomo è visto nelle sue realtà. Non è il buono per natura, come sosteneva Rousseau, è invece un essere debole, instabile, inaffidabile. Però non è per i musulmani un “corrotto per natura”, come sostengono sant’Agostino e i principali protagonisti della Riforma. Egli è per i musulmani creatura, segno di Dio, e in quanto tale può rivolgersi in qualsiasi momento - senza mediatori e “Chiese” - a quel Dio “misericordioso” che gli concede la grazia o il perdono dei peccati.

Cosicché se la “famiglia” inculca nei figli i valori della solidarietà, della gentilezza, della tolleranza e della comprensione, essa opera perché crede che così facendo si realizzi il contesto ideale allo sviluppo della serena convivenza umana. Ecco perché «la fede, la pratica e l'educazione religiosa dei genitori e della prole hanno grande importanza nell'Islam, tutto il sistema dei rapporti familiari e' influenzato da esse» , come avvertono i sacri testi.

Tuttavia, le diverse interpretazioni delle regole coraniche hanno prodotto, negli ultimi tre decenni, una frammentazione che ha evidenziato i confini tra sunniti, sciiti, waabiti, kharjti, zayditi, drusi, e le varie sotto-sette dei deserti. Non sono riapparse soltanto profonde separazioni dottrinarie, ma anche ideologiche, poiché l’Islam contemporaneo non è soltanto teologia, ma è rinato per mille motivi come ideologia politico-sociale. Tutto si è messo in movimento con immediati spostamenti di frontiere: coinvolgendo diverse interpretazioni del dogma, dell’idea di Stato, di «risveglio» come rilancio del tradizionalismo o come irredentismo legato alla nozione di progresso.

Tutto questo ha ridisegnato, esasperandole, le vecchie frontiere etniche fra arabi e non arabi; fra arabi, turchi, persiani. A guardar bene, la Libia stessa costituisce una peculiarità nel panorama generale, essendo essa un complesso incrocio di culture arabe, berbere e africane. Storicamente le tribù dell'est del paese sono state spesso discriminate dai diversi poteri che si sono succeduti nella storia di quella regione.

E siccome il forte spirito di rivalità tra gruppi si definisce territorialmente, così si spiega il perché del conflitto fra Bengasi e Tripoli. Queste realtà, il Veltroni che invita a scendere in piazza a fianco dei “patrioti libici” e si rammarica perché pochi gli si accodano, le conosce? O parla “tantoperparlà”, come usa dire?

Poiché anche nella società musulmana, tra i ceti più evoluti, oggi si scorgono le tracce dell’ansia che tormenta l’Occidente. Pertanto in molti, anche degli appartenenti al clero, si stanno chiedendo se è più opportuna una limitata laicizzazione del mondo islamico con una totale separazione della sfera politica da quella religiosa come viene invocata, per esempio, da più parti in Iran, in modo da poter reggere il confronto con il secolarismo ideologico con il quale il consumismo s’accompagna. E’ naturale che il processo di modernizzazione occidentale così come appare loro alla televisione, sui giornali li intimorisca, la minaccia dello sfascio della famiglia li sgomenti.

Se non si tengono a mente questi scenari  non si riesce a capire quel che veramente ci accade intorno e di conseguenza ricavarne degli spunti validi in questo cambio d’epoca che ci sta attraversando e che ci porta a una transizione inevitabile verso una società molto diversa rispetto a quella in cui viviamo. Sicché il compito prioritario di chi si propone come “Forza del cambiamento” è imparare ad ascoltare. E poi può parlare, e poi può manifestare.

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