di Mario Braconi

Quella per il BlackBerry, il primo cellulare al mondo a fornire accesso alla casella di posta elettronica, sta diventando per alcuni governi una vera ossessione: solo nelle ultime settimane, ben tre stati hanno attaccato a testa bassa RIM (Research In Motion), la società canadese che produce i terminali un tempo contraddistinti dal colore e dalla forma di una mora - blackberry, appunto.

Ad aprire le danze di guerra, gli Emirati Arabi Uniti, che a fine luglio, hanno reso noto al mondo che, causa risposte inadeguate di RIM ad una serie di questioni di sicurezza relative ai dispositivi, da ottobre, all’interno dei confini del Regno, l’accesso alla Rete verrà impedito a tutti i telefonini BlackBerry. Cosa che impedirà agli utenti di utilizzare i servizi di lettura e-mail, SMS e navigazione su Internet, trasformando così il potente terminale in un semplice cellulare (peraltro ingombrante, dato che dispone di tastiera QWERTY, cioè simile a quella di un computer, e di un display relativamente ampio).

Immediatamente dopo è arrivata l’Arabia Saudita che, citando identiche motivazioni, sollevate in questo caso dalla locale Commissione per le Comunicazioni e per l’Information Technology, il 3 agosto ha lanciato a RIM un vero e proprio ultimatum: in mancanza di un intervento da parte del costruttore-gestore canadese, i rappresentanti del Regno si sono detti pronti ad impedire d’imperio tutte le funzionalità peculiari dei BlackBerry entro venerdì 6 agosto. Ultima arrivata, l’India, che ha minacciato la RIM con un ultimatum simile, che scadrà il 30 agosto.

Ma perché tanto accanimento contro i BlackBerry? In fondo, fanno il mestiere di ogni smartphone che si rispetti: consentire la lettura dei messaggi di posta elettronica ed accesso alla Rete, di solito per ottenere notizie, previsioni metereologiche, indirizzi di locali eccetera. La risposta è tecnica ma presenta importanti implicazioni giuridiche e politiche: a differenza di altri produttori (Apple, HTC, Nokia eccetera), infatti, BlackBerry non vende solo un telefonino, ma un servizio accessibile mediante un suo terminale specificamente sviluppato.

La società canadese, infatti, dispone di server proprietari in vari Paesi (ad esempio i Paesi del Golfo di cui sopra si “agganciano” a quelli canadesi, in Italia usiamo quelli britannici) attraverso cui passano, per essere criptate, tutte le messaggistiche da e per i suoi dispositivi (SMS, e-mail o servizi alternativi). Risultato? I messaggi di posta elettronica scambiati tra un terminale BlackBerry ed un account di posta appoggiato su un server estero sono praticamente impossibili da intercettare per le polizie dei Paesi in cui il telefonino viene utilizzato.

Prima di tutto, l’insofferenza dimostrata da alcuni Stati nei confronti di un servizio, la cui intercettazione rappresenta un vero e proprio incubo tecnologico-giuridico, è quasi un lapsus, da cui si evince che, per le forze di sicurezza, tutto quello che un cittadino scrive su internet o trasmette nell’etere è per definizione proprietà della polizia. I servizi sauditi, poi, ce la devono avere a morte con la RIM, dopo l’immane figuraccia rimediata un anno fa, quando hanno fatto in modo che uno degli operatori sauditi installasse sui BlackBerry in funzione nel Regno un malware, nascosto dentro un presunto aggiornamento del sistema operativo del dispositivo (!)

In teoria, il malware avrebbe dovuto trasmettere una copia di ogni messaggio ad un server della compagnia telefonica “complice”; in pratica, l’operazione è miseramente fallita perché il software (il cui nome, incredibilmente, era “interceptor”) era scritto in modo talmente penoso che i telefonini infettati si scaricavano troppo velocemente, cosa che ha finito per attirare l’attenzione degli utenti spiati.

Ai patiti della sicurezza è comunque bene ricordare che, come ricorda Nick Jones, Senior Analyst alla società di consulenza strategica Gartner, la corsa all’intercettazione “facile” da parte dei Governi è piuttosto ingenua: non appena i “cattivi” scopriranno che il telefono “mora” non è più “sicuro”, si serviranno di altri strumenti con maggiori garanzie di privacy (ad esempio Skype, a suo tempo gratificata da una pubblicità non cercata e certamente non gradita di un testimonial di eccezione, la Mafia, i cui affiliati pare usino quel servizio di telefonia su IP proprio grazie alle sue caratteristiche tecniche, che lo rendono non intercettabile).

L’attivismo scomposto di alcuni Governi contro la RIM di sicuro non aiuta i conti del colosso di Waterloo - Ontario, fatturato di circa 15 miliardi di dollari, di cui poco meno del 40% prodotto in Paesi diversi dal Nordamerica. Non a caso, dal giorno della boutade degli Emirati Arabi, il titolo ha perso in Borsa il 5,8%. Soprattutto la grande pressione che i due Regni mediorientali e la più grande democrazia del mondo stanno esercitando sulla società alimenta comprensibili sospetti che la società canadese venga costretta prima o poi a modificare l’architettura del suo sistema al fine di renderla più permeabile alle richieste di intercettazione da parte degli Stati. Peccato che proprio il criptaggio dei messaggi costituisca il vantaggio competitivo che ha trasformato il BlackBerry in uno standard presso tutti i corporate di una certa dimensione.

Non stupisce pertanto il fatto che, in questi giorni di polemiche tra alcuni governi e la società canadese, alcuni dei clienti più in vista della RIM si siano rivolti direttamente ai suoi vertici per essere rassicurati. Bloomberg racconta infatti di una drammatica conference call tra i grandi capi di RIM e alcuni clienti “più uguali degli altri”, tra i quali figuravano, guarda caso, rappresentanti delle banche d’affari americane Goldman Sachs e JP Morgan, le “regine” di Wall Street, protagoniste tuttora impunite del disastroso crack finanziario che ha devastato il mondo tra il 2008 e il 2009.

Il fatto che l’Arabia Saudita abbia deciso di prorogare l’ultimatum, complice la decisione di RIM di attivare in fretta e furia tre server in territorio saudita, segnala la disponibilità della società a venire incontro alle richieste dei Governi, sia pure all’interno di determinati limiti; come recita un recente comunicato stampa della RIM “la nostra società fa di tutto per dare aiuto ai governi sui temi legali e di sicurezza nazionale, preservando nel contempo gli interessi legittimi di cittadini ed imprese”.

A dispetto di queste parole rassicuranti e delle reiterate conferme che l’azienda non intende metter mano all’architettura informatica che l’ha resa unica e celebre, le banche d’affari temono che eventuali eccezioni possano invece costituire falle nel sistema: una situazione potenzialmente molto pericolosa per il business, specie considerando gli elevati standard professionali e soprattutto etici di cui hanno dato prova i grandi capi delle banche d’affari che governano il mondo.

Non si possono certo invidiare i direttori di RIM, che stanno passando un brutto quarto d’ora, stretti tra stati ficcanaso e banchieri decisi a mantenere ad ogni costo il riserbo sui loro affari, talora poco chiari quando non palesemente illegali. Se da un lato si potrebbe sostenere provocatoriamente che i danni di un attentato e quelli prodotti da qualche rispettabile banchiere in grado di mettere in ginocchio interi paesi siano solo marginalmente differenti, c’è da scommettere che le banche d’affari avranno quello che desiderano; e peccato se questo vorrà dire che sarà impossibile sventare qualche attentato.

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