di Mario Braconi

Ha il suggestivo nome commerciale CRUSH (in inglese, l’atto di schiacciare, ma anche, ironicamente, “prendere una cotta”) il software messo a punto da IBM per coadiuvare le forze dell’ordine americane e britanniche nella repressione del crimine. CRUSH non è solo un brand, è anche un acronimo, “Criminal Reduction Using Statistical History”, ovvero “riduzione del crimine tramite impiego di dati statistici storici”.

L’idea alla base di CRUSH e di prodotti simili - che, c’è da scommetterci, cominceranno ad essere sempre più popolari presso cliniche private, banche e in generale presso tutti gli agenti sociali coinvolti nella gestione dei rischi - è l’analisi predittiva, una tecnica che mette insieme statistica, teoria dei giochi e “data mining” (estrazione di pattern regolari da enormi moli di dati grezzi) allo scopo (invero piuttosto ambizioso) di prevedere il futuro.

Per quanto sofisticate possano essere le elaborazioni prodotte dal programma messo a punto da IBM, il principio di partenza è davvero elementare: ciò che abbiamo fatto in passato è la migliore chiave intepretativa per comprendere che cosa faremo in futuro.

Ad esempio, CRUSH è in grado di mettere assieme milioni record di denunce, incrociando informazioni relative ad orari, luoghi fisici, giorni della settimana, condizioni meteorologiche in cui sono stati commessi i reati ed analizzando nel contempo tutte le informazioni disponibili su colpevoli e vittime: si potrebbe scoprire così, ad esempio, che i giovedì soleggiati sono giorni ideali per le rapine in banca, mentre la vicinanza ad un cimitero renderebbe le persone più proclivi a truffare il prossimo...

Dal punto di vista della corretta allocazione delle risorse, l’utilità di un simile strumento è indiscutibile: una volta compreso che al verificarsi di determinate condizioni, un delitto é più probabile, non resta che concentrare lo sforzo delle forze dell’ordine per reagire / prevenire in modo mirato. A dar retta al colosso dell’informatica, l’impiego sperimentale di CRUSH nella città americana di Memphis avrebbe contribuito alla prevenzione dei crimini (-31% per i delitti in generale, -15% per quelli violenti).

Il problema è che, inevitabilmente, CRUSH tende a diventare un tantino impiccione, con quella sua mania di trattare la materia vivente e pensante - umana - alla stregua di un qualsiasi altro fenomeno naturale. Non è la macchina da biasimare se, fedele al diktat di chi la ha programmata, si spinge a tentare di comprendere quali caratteristiche personali aumentino la probabilità statistica che in un dato individuo si manifesti, prima o poi, un comportamento criminale.

Senza contare la più banale delle obiezioni: leggere il futuro di un uomo nel suo passato può rivelarsi un gravissimo errore: se si applicasse questo principio in modo acritico, non solo verrebbe meno la capacità dell’uomo di emanciparsi dal suo destino e anche di emendare i suoi errori pregressi, ma ad uno Steve Jobs, abbandonato dai genitori biologici, sarebbe toccato un destino ben meno brillante che quello di diventare un’icona globale della creatività e del successo.

Eppure il Ministero della Giustizia degli Stati Uniti ha già iniziato ad utilizzare l’analisi predittiva per tentare di inferire quale dei soggetti liberati dopo una pena carceraria avrebbe maggiori probabilità di commettere nuovi delitti, basandosi sul luogo in cui vivono, sulle loro compagnie, sull’abuso di alcol e droghe, sul reddito, su loro equilibrio psicofisico ed emotivo eccetera. L’idea sarebbe quella di indirizzare questi soggetti ad alto rischio di recidiva verso programmi di recupero ritagliati appositamente per aiutarli a “rigare dritto” una volta fuori dalla galera.

La notizia ha fatto rabbrividire giuristi e attivisti per i diritti civili, preoccupati per l’obiettivo affievolimento che la logica implicita in simili tecniche comporta al principio della presunzione di innocenza e, forse, anche per il rischio di un profiling basato sulla razza o sul censo (i neri, tutti criminali, gli islamici tutti terroristi - narrazioni purtroppo non inedite ma che rischiano ora di essere rafforzate da puntelli pseudo-scientifici).

I giornalisti di tutto il mondo, invece, hanno sottolineato come lo scenario prefigurato richiami quello distopico, narrato dal visionario Philip K. Dick nel suo racconto Rapporto di Minoranza (1956!) e portato sugli schermi da Steven Spielberg nel 2002, nel quale una triade di veggenti fornisce alla polizia le coordinate di coloro che stanno per compiere un delitto, in modo da consentire un loro arresto preventivo.

Il paragone con le due opere (il racconto e la pellicola) è certamente suggestivo, anche grazie alle semplificazioni e alla generica sciatteria dei giornalisti, ma calza solo in parte. Nel caso proposto dalla fiction, infatti, il destino giudiziario dei cittadini era nelle mani di un gruppo di visionari, mentre, almeno nelle intenzioni della IBM, la prevenzione del crimine è presidiata dalla forma più pura di logica, il calcolo di un elaboratore elettronico: in teoria, anziché l’arbitrio di un invasato, a porre un giusto limite alla violenza ingiusta dell’uomo sull’uomo ci sarebbe la pura scienza.

Da questo punto di vista non sembra del tutto ingiustificato il commento di Mark Cleverley, capo delle strategie per il Governo alla Big Blue - sia pure largamente pro domo sua: “La tecnologia non fa niente di diverso da quello che hanno sempre fatto i poliziotti, basandosi sugli indizi e sul proprio istinto”. Il fatto che a valutare situazioni di rischio siano, in ultima analisi, circuiti stampati sul silicio anziché un uomo o una donna con emozioni buone ma volendo anche no, forse non è poi un fatto del tutto negativo.

 

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