di Mario Braconi

Dopo aver venduto il suo business in patria (un provider di connettività), l'imprenditore britannico Stuart Lawley si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha costituito una società, la ICM Registry LLC, attiva nel settore dei domini dei siti internet. Sin dal lontano anno 2000, Lawley tampina la ICANN (Internet Corporation for Names and Numbers), l’ente internazionale che, tra le altre cose, si occupa di validare i domini dei siti internet) affinché approvi la sua “grande idea”, il dominio .xxx, che dovrebbe contraddistinguere i siti pornografici.

Le sue insistenti richieste, però, sono state respinte per ben tre volte in dieci anni, secondo Lawley anche a causa della pressione delle solite lobby cristiane ultratradizionaliste, preoccupate della diffusione della pornografia resa ubiqua da web e connettività in mobilità. Qualche giorno fa la svolta: lo scorso 25 giugno, il consiglio di amministrazione della ICANN, nel corso di un incontro a Bruxelles, ha riconosciuto di non aver trattato in modo equo il candidato ICM quando, nel 2007, rovesciò una precedente decisione con la quale aveva “benedetto” il suffisso della tripla x quale marchio distintivo dei siti “peccaminosi”.

Ciò non significa, precisa Peter Dengate Thrush, capo supremo della ICANN, che “la richiesta di ICM sia stata accettata, ma solamente che abbiamo ripreso le negoziazioni con il candidato”. La prudenza è d’obbligo per chi rappresenta un’ente che per i gruppi ultraconservatori e sessuofobi stanno, né più né meno, favorendo una masnada di peccatori senza Dio.

La cautela dell’ICANN non contagia Lawley, sui cui occhi, al pari di un personaggio di Disney, sembra siano apparse, al posto dei bulbi oculari, due monetine con l’effigie del dollaro: è convinto di poter vendere facilmente mezzo milione di domini all’astronomica cifra di 60 dollari l’anno l’uno (il costo di un dominio “normale” è di soli 7 dollari!). Lawley sostiene di aver ricevuto prenotazioni da 112.000 gestori di siti pornografici, mentre la sola notizia della riapertura dei negoziati con la ICANN gli sarebbe valso, in un solo giorno, un flusso di 2.000 nuove richieste.

Per dribblare in anticipo l’inevitabile accusa di paraninfo informatico, il “responsabile” Lawley si è preoccupato di far sapere alle agenzie di stampa che, per ogni dominio registrato, la sua società erogherà un contributo di 10 dollari alla IFFOR (International Foundation For Online Responsibility), una ONG che, nel suo “Chi Siamo” utilizza la parola responsabilità per ben sei volte.

Se Lawley è al settimo cielo, non si può dire che siano particolarmente soddisfatte le altre dramatis personae: è infatti un coro di bocciature, tanto nel fronte dei “genitori responsabili”, quanto in quello dei pornografi professionisti. I censori (giustamente, dal loro punto di vista) sostengono che l’eventuale attivazione della “tripla x” non sortirebbe effetto alcuno, a meno che la sua adozione non diventasse obbligatoria per i produttori di contenuti per adulti. “Questo del dominio pornografico è un percorso molto scivoloso per l’intero settore dell’intrattenimento a luci rosse”, spiega all’Huffington Post Steven Hirsch, fondatore e co-direttore della Vivid Entertainment, uno dei più forti operatori del porno negli Stati Uniti: “Non possiamo non preoccuparci di ciò che potrebbe accadere alla nostra industria se andrà avanti la questione del dominio .xxx: le società di intrattenimento per adulti verranno confinate in massa in un speciale recinto? Oppure no, e in questo caso quali saranno le regole per spingervi dentro alcune di esse, lasciando fuori le altre?”.

Ancora più risentiti i commenti dei responsabili di Ms. Naughty (in italiano, signorina monella), portale pornografico orientato al consumo femminile: “La gran parte degli operatori del porno online è fieramente contraria al dominio .xxx, in primo luogo perché rischia di limitare la libertà di parola (forse di espressione ndr), e poi perché si tratta di un modo spudorato per spillare quattrini. La gran parte di noi ha già una presenza consolidata sul web: mi sembra altamente improbabile che decidiamo autonomamente di abbandonare il nostro ranking su Google per abbracciare il nuovo dominio .xxx...

Eppure, se la proposta di Lawley dovesse passare, saremmo obbligati a passare per la sua società al fine di evitare il cybersquatting (viene così definita la pratica di registrare domini identici a quelli già attivi con dominio diverso, in questo caso .xxx, salvo poi rivenderli a peso d’oro a chi detiene il dominio original, ad esempio con suffisso.com ndr). A parte il fatto che un dominio .xxx costa sei volte tanto rispetto ad uno ‘normale’, la società di Lawley chiede ulteriori 200 dollari per proteggere i suoi clienti dal cybersquatting”. Come dar torto alla “sexy monella”: il modo in cui ICMA conduce i suoi affari sembra ai limiti del racket.

In ogni caso, il furbo Lawley è riuscito a far passare la sua campagna promozionale come un modo per identificare ab origine i contenuti non adatti ai minori, in quanto collegati alla sfera sessuale. A riprova di quanto sia stato potente il suo lavaggio del cervello, perfino una blasonata scrittrice e giornalista femminista, Natasha Walter, citata dal Guardian, è arrivata a sostenere che l’adozione del nuovo dominio e la conseguente realizzazione di una sorta di “quartiere a luci rosse” nella Rete potrebbe essere “un passo nella giusta direzione”. E, se non bastasse, un sondaggio online che la CNN ha organizzato sull’argomento ha dato un responso inequivocabile: per quanto i risultati di simili ricerche vadano presi molto con le molle, oltre l’80% delle 280.000 persone che hanno risposto si sono dichiarate d’accordo con questa idea.

Eppure non vi sono ragioni per ritenere che l’adozione del dominio .xxx potrebbe essere utile in tal senso: già ora i gestori più responsabili usano due etichette digitali (ICRA e RTA, Restricted to Adults, “per soli adulti”), grazie alle quali é possibile filtrare i contenuti: è chiaro che obbligare tutto il mercato ad adottare un nuovo dominio sarebbe utile solo a Lawley e ad altri furbetti come lui. E’ infatti lecito dubitare del fatto che chi svolge il lavoro di pornografo violando la legge (e che quindi se ne stropiccia dei bollini di qualità) si adegui ad un eventuale futuro obbligo legale di passare al nuovo dominio.

Più utile sarebbe, anziché ghettizzare il consumo pornografico (perché questo è in fondo il retropensiero di “idee politiche” come quelle cavalcate dai vari Lawley), stabilire un nuovo dominio .kid, i cui contenuti sarebbero certificati come adatti ai più piccini. Questi, oltre a non contenere sesso, dovrebbero essere purgati dei ben più deleteri contenuti violenti, che però sembrano preoccupare l’opinione pubblica in modo più marginale. Un’idea vecchia, questa, ribadita da un rappresentante di Ms. Naughty. D’altra parte, forse è un segno dei tempi se le buone idee vengono proposte dai pornografi anziché dai politici.

 

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