di Mariavittoria Orsolato

Che l’Italia sia uno dei campioni del cattolicesimo lo dicono i numeri e lo testimonia al meglio quella Città del Vaticano che da due millenni ci portiamo in seno alla capitale. Che però l’affezione alla chiesa non sia più quella dei tempi d’oro, lo si vede dai banchi vuoti che ogni domenica spogliano le navate di quella che è l’esperienza topica del cristiano, ovvero la messa. Le ragioni di questo fenomeno sono legate all’inevitabile evoluzione della società e dei costumi, alla discordanza di pensiero riguardo a temi civili ed etici o al semplice disinteresse: essere laici, atei o agnostici è sempre stata più che altro una scelta personale, che all’atto pratico non implica conversioni formali come nei casi di affiliazione ad un’altra religione.

Per tutte queste persone i sacramenti impartiti durante l’infanzia sono più che altro ricordi di enormi abbuffate, parenti e regali e non rivestono più il significato originario di missione apostolica e comunione con Dio. Nonostante ciò, tutti coloro che pur non praticando sono stati battezzati, risultano nei registri vescovili, vengono perciò computati in quel 96% di popolazione cattolica e, secondo il Catechismo Ufficiale della Chiesa “non appartengono più a se stessi […] perciò sono chiamati […] a essere obbedienti e sottomessi ai capi della Chiesa”.

Vista da quest’ultima prospettiva, l’appartenenza alla confessione cattolica è un legame inscindibile con un’autorità che per quanto sia di matrice morale ha un’innegabile margine di azione temporale.
Per questo da circa vent’anni l’UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti, di cui è presidente onorario l’astrofisica Margherita Hack) sta promuovendo iniziative volte a promuovere la non aconfessionalità dello Stato e delle sue istituzioni, arrivando ad ingaggiare una battaglia legale con il Vaticano per il riconoscimento formale della volontà di uscire dalla Chiesa cattolica.

Nel 1995, dopo aver ottenuto solo risposte evasive dalle autorità ecclesiastiche, gli azionisti dell’UAAR lanciavano un appello a Stefano Rodotà, allora garante per la tutela della privacy, in cui chiedevano espressamente di intervenire nei confronti delle parrocchie refrattarie alla cancellazione del battesimo. Dopo 4 anni, nel 1999 arriva la risposta del garante che, pur riconoscendo il fatto che il battesimo è incancellabile in quanto fonte di un fatto storicamente avvenuto, decreta la possibilità di far annotare la personale volontà di apostasia e di non essere quindi più formalmente “figli della chiesa”. Da quel momento in poi, l’UAAR ha mobilitato una campagna permanente per informare sulla pratica dello sbattezzo e combattere quel nicodemismo così diffuso entro i nostri confini geografici.

Il meccanismo codificato dalla giurisprudenza canonica e statale è di una semplicità estrema: è necessario conoscere la parrocchia nella quale si è ricevuto il battesimo ed inoltrarle una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui si esplicita la propria volontà di uscire formalmente dalla Chiesa cattolica - è inoltre possibile scaricare i moduli dal sito http://www.uaar.it/laicita/sbattezzo. Entro 15 giorni il parroco è tenuto per legge a rispondere con una lettera in cui conferma di aver annotato sull'atto di battesimo e/o sul registro dei battezzati quanto richiesto dallo “sbattezzando”. Una volta avvenuto l’atto formale, questo comporta per il richiedente l’esclusione da tutti i sacramenti, l’impossibilità di fungere da padrino o madrina e la privazione delle esequie ecclesiastiche qualora non ci sia stato un pentimento previo alla morte.

Ad oggi non sono ancora disponibili le cifre esatte sulla diffusione del fenomeno e in molti hanno già bollato questa rivendicazione come una goliardata anticlericale-anarchico-comunista ma la pratica dell’apostasia significa soprattutto rivendicare la propria identità. Pensiamo infatti a tutti quei gruppi di persone che vengono ben poco velatamente osteggiati dalle istituzioni vaticane, come gli omosessuali, le donne e il loro corpo, i conviventi, i divorziati: per questi soggetti il battesimo è un’incongruenza riscontrabile in ogni pronunciamento dottrinale e in tutte quelle chiusure dogmatiche che impediscono ogni tipo di partecipazione attiva alla comunità cristiana.

Sbattezzarsi è anche una presa di posizione politica di fronte agli atteggiamenti d’ingerenza cui il papa ed i vescovi ci hanno abituato: dalla condanna del profilattico espressa un anno da fa da Benedetto XVI, alle vere e proprie dichiarazioni di guerra che hanno interessato il referendum sulla legge 40 sono molti gli esempi in cui buona parte della popolazione italiana, pur essendo battezzata, ha intimamente o attivamente dissentito dai dettami di San Pietro.

Qui non si vuol certo fare l’apologia dello sbattezzo, ognuno ha il diritto di credere in ciò che gli è più congeniale e di comportarsi di conseguenza. Certo è, però, che secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 239/84, l’adesione a una qualsiasi comunità religiosa deve essere basata sulla volontà della persona ed è molto difficile che questa possa essere riscontrata nei bambini dai 3 ai 5 mesi; se a questo si aggiunge che per la legge 196/2003, l’appartenenza religiosa è considerata un dato personale sensibile - esattamente come l’appartenenza sindacale e politica, la vita sessuale e l’anamnesi medica - ben si capirà come mai oggi l’apostasia formale sia un esigenza sempre più sentita.


 

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