di Rosa Ana De Santis

La storia di Stefano Cucchi ha sempre di più i contorni di una vicenda cupa, occultata nell’omertà colpevole delle istituzioni coinvolte. L’indagine per la verità va avanti e dalla vetrina del TG1 è finalmente riapparsa la lettera che era stata sottratta, lettera che Stefano ha scritto la sera prima di morire. A leggerla è Ilaria, la sorella, che con parole misurate e toni pacati lancia argomenti e riflessioni che pesano come pietre. In quelle poche righe, scritte con uno stampatello incerto, c’è una richiesta di aiuto, indirizzata a uno degli operatori della comunità CEIS presso cui era in cura, Stefano racconta lo sconforto e lo smarrimento, fino all’ultima preghiera: “Rispondimi”. Quella lettera non è mai arrivata ed è stata sottratta dalla scatola degli effetti personali consegnata alla famiglia.

Le discordanze tra il primo verbale redatto dalla polizia giudiziaria e la lista apposta sulla scatola ritirata da Regina Coeli, tra mille difficoltà ha portato al riscontro dell’ennesima anomalia. La lettera di Stefano appare e scompare. Perché - questa la paura - con quelle parole diventa impossibile difendere la tesi del paziente silenzioso, del detenuto ribelle, del figlio e del fratello che non vuole e non ha bisogno del conforto e della vicinanza dei propri affetti familiari. E’ stata la testimonianza di una vice sovrintendente della Polizia Penitenziaria ad aver permesso di scoprire che la lettera misteriosa esisteva, che non era mai stata recapitata alla Comunità e che la famiglia - questo dicono i tentativi di farla sparire - non doveva leggerla.

Diventa sempre più grave la posizione dei sanitari dell’Ospedale Pertini. Oltre all’ipotesi accusatoria sulla manomissione delle cartelle cliniche del paziente scomodo, si aggiunge la conferma di un altro tassello finora solo ipotizzato. E’ stato impedito a Stefano Cucchi di avere qualsiasi contatto con l’esterno, di chiedere aiuto e, probabilmente, questo il vero timore del braccio della giustizia che ha dato disposizioni ai medici coinvolti, di poter raccontare chi l’avesse ridotto quasi immobile su un lettino. Così quella famiglia lasciata davanti ad un portone ad attendere autorizzazioni fantasiose non sembra più un’assurdità o un errore di burocrazia e disorganizzazione  di poteri e competenze, come volevano farci credere. Il piano è stato perfetto, il meccanismo degli effetti - raccontati come collaterali - ben congegnato.  Stefano doveva morire. Nulla bisognava tentare per salvarlo.

Presto la commissione presieduta da Ignazio Marino depositerà la propria relazione al Presidente del Senato. Nel frattempo le indagini sugli agenti della polizia penitenziaria vanno avanti e il legale della famiglia si augura che l’accusa di omicidio preterintenzionale tenga. Il ricovero di Stefano è avvenuto per le conseguenze di un pestaggio e i rilievi autoptici dicono che di antecedente al fermo e all’arresto ci sono solo delle ernie. Che le fratture riscontrate sul corpo Stefano fossero mortali oppure no, diventa comunque irrilevante rispetto al fatto che quelle lesioni dolose sono diventate una condanna a morte, grazie al concorso del comportamento negligente avuto dai medici.

L’evidente frammentazione delle responsabilità non dovrebbe tradursi in uno sconto di pena per nessuno dei protagonisti, o ancora peggio in un’assoluzione di fatto. Perché il rischio insidioso è proprio questo. Che le colpe di tanti portino ad una paralisi delle indagini e delle condanne e che alla fine, dopo le violenze subite da Cucchi e il lettino della vergogna dell’ospedale in cui è stato abbandonato, si arrivi alla solita palude giudiziaria.

Sarà più facile credere che Stefano sia morto quasi da sé. Per vulnerabilità personale o meglio ancora per la droga, come aveva già teorizzato il Sottosegretario Giovanardi. Per Gabriele Sandri si parlò del mondo dei tifosi e del calcio, per le violenze di Genova durante il G8 si parlò di black block, per Aldovrandi e Cucchi si parla di droga. E’ comodo deviare l’attenzione dell’opinione pubblica, mentre ogni giorno si perde un pezzetto di verità e il potere immune fa la conta delle proprie vittime, inferiore a quella delle proprie colpe.

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