di Antonio Rei

Una furbata a cui neanche Silvio Berlusconi sarebbe mai arrivato. La scheda per il referendum costituzionale presentata la settimana scorsa dal premier Matteo Renzi non è solo l’apoteosi della politica ridotta a marketing, ma anche un colpo bassissimo, una vera scorrettezza nei confronti di chi si batte perché vinca il NO e, comunque, per tutti gli elettori.

Il quesito che ci ritroveremo davanti fra un paio di mesi recita così: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”»?

È un chiaro tentativo di manipolare l’elettorato, un arrembaggio in extremis per far pendere dalla propria parte gli elettori più indecisi. Ed è tanto più odioso perché evidentemente mette nel mirino le persone più ingenue e inermi, quelle che hanno meno strumenti per rendersi conto di quando qualcuno cerca di raggirarle.

Quell’anima pia del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi - non a caso occultata nelle ultime settimane, da quando cioè a Palazzo Chigi si sono resi conto che la sua arroganza e il tono con cui ripete a memoria i ritornelli renziani danneggiano il fronte del Sì - non ha perso nemmeno stavolta l’occasione di tacere, ricordandoci che “il quesito referendario si limita a riprodurre il titolo della legge costituzionale”. Già, formalmente ha ragione… Ma che c’entra?

In tutta la storia referendaria repubblicana, nei quesiti appare il numero della legge e la data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; i nomi delle leggi sono noiosi e burocratici e i quesiti referendari con cui si chiede al popolo di esprimersi su quelle leggi lo sono altrettanto. Un motivo c’è: la campagna elettorale deve terminare prima della votazione. Non è lecito influenzare gli elettori quando sono già entrati in cabina elettorale, ovvero quando i sostenitori della parte avversa non hanno più occasione di replicare, di smentire la tua propaganda.

Forse non tutti se lo ricordano, ma il 7 ottobre 2001 andammo a votare per decidere se confermare o meno la modifica del Titolo V della Costituzione e sulla scheda leggemmo questo: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche al titolo quinto della parte seconda della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001»?

Poco meno di cinque anni dopo, il 25 e il 26 giugno del 2006, fummo chiamati invece a esprimerci su un’altra riforma costituzionale, quella varata dal governo Berlusconi. In quel caso il quesito referendario recitava così: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche alla parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005»?

In entrambi i casi la domanda era semplice, concisa ed equilibrata. Chi non aveva la minima idea di cosa si stesse parlando non poteva trarre alcuna indicazione su come votare dal testo del quesito. Dieci anni fa, per fortuna, gli italiani s’informarono a sufficienza prima di andare a votare e bocciarono quella legge, salvando la Costituzione da Berlusconi. Oggi, purtroppo, di fronte al cesarismo turlupinatorio di Renzi, ci siamo ridotti a citare Berlusconi come un esempio di democrazia.

Già, perché non è democratico far ascoltare agli elettori una sola campana. Non è corretto parlare di “superamento” del bicameralismo paritario - suggerendo un’idea di miglioramento - senza spiegare in quale scempio si trasformerà il nuovo Senato. Non è giusto parlare di “riduzione del numero dei parlamentari” senza spiegare che il Senato sarà riempito di sindaci e consiglieri regionali che non saranno eletti a Palazzo Madama direttamente, ma attraverso una legge elettorale che ancora non esiste. Non è onesto parlare di “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”, senza spiegare che si tratta degli spicci per la merenda, compresi tra lo 0,01 e un po’ più dello 0,03% del Pil.

Le schede devono essere asettiche. Anche perché, a voler formulare un quesito realmente didattico, si dovrebbe anche precisare che - combinando gli effetti di questa riforma all’attuale assetto dell’Italicum - il risultato è un rafforzamento allarmante del potere esecutivo a danno di quello legislativo. Stranamente, però, questo dettaglio è stato omesso. In effetti, forse dovremo ritenerci fortunati se sulla scheda troveremo ancora la casella del NO. 

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