di Fabrizio Casari

Le parole di Maria Elena Boschi sui “veri” partigiani sono state definite una gaffe. Ma una sufficiente conoscenza della terminologia e della avvocatessa improvvisatasi politica risultano soprattutto una manifestazione di ignorante arroganza. Cosa ne sa, infatti, la Boschi di partigiani? Di cosa sono stati, quali ideali hanno rappresentato e quale eredità politica, valoriale ed ideale hanno trasmesso? La Boschi non è mai stata di sinistra nemmeno un paio d’ore della sua vita, pur avendo, in passato, indicato cosa sia di sinistra e cosa non lo sia. Davvero l’imperizia diviene arroganza e l’arroganza rivela il ridicolo.

E’ stravagante, ma in qualche modo sintomatico, che Maria Elena Boschi sia un Ministro della Repubblica. Uscita dal guscio del giglio magico senza nessuna storia politica alle spalle - a meno di non voler considerare tale la sua attività a sostegno degli affari legali del mondo renziano - al suo attivo la Boschi ha certamente una conoscenza profonda di Matteo Renzi. Ha poi una certa esperienza in fallimenti bancari (anche per saperi di famiglia che si tramandano), conosce bene i movimenti di Verdini, ma davvero non ha nemmeno idea di cosa siano state le grandi ideologie che hanno attraversato il Novecento. Più che di partigiani è di partigianeria che la Boschi s’intende, basta ascoltarla. In totale assenza di cultura politica, l’inclinazione al sottobosco clientelare appare l’unico tratto identitario effettivamente riscontrabile in parole e atti del Ministro delle Riforme.

Nessuna gaffe quindi: le sue parole sui partigiani sono state un vero e proprio attacco politico, effettuato semmai con l’ignoranza crassa e l’arroganza di cui la signora ha già dato mostra in diverse occasioni. Un attacco politico volgare, (una consuetudine per il giglio magico) resosi necessario per reagire alle deliberazioni congressuale dell’Anpi. L’organizzazione che rappresenta la storia dei partigiani italiani, ha infatti celebrato il suo Congresso nel quale ha deciso, con soli 3 voti contrari, di impegnarsi nella battaglia per il NO al referendum sulle riforme istituzionali e l’annessa legge elettorale di Renzi portate avanti per delega proprio dal Ministro Boschi. La decisione dell’Anpi si spiega facilmente, è quasi un atto dovuto, proprio perché l’eredità storica dei partigiani è tutta scritta nella Costituzione italiana che, dal bislacco, pasticciato e autoritario disegno governativo, verrebbe lacerata inesorabilmente.

La Ministro Boschi dovrebbe studiare la storia partigiana, vi troverebbe il momento più alto della dignità italiana, l’epopea di uomini e donne che riscattarono l’onore della nostra nazione. A coloro si deve rispetto sacro e riconoscenza infinita e, se proprio non li si vuole prendere a modello, certo in nessun caso è possibile usarli per le cialtronerie politicanti.

Purtroppo però l’attacco della Boschi è stato sferrato proprio per il valore politico e simbolico dell’Anpi al disegno renziano di stravolgimento della Carta. E qui che il governicchio in carica si sente all’angolo. Perché nel suo progetto di riforma emerge proprio un’idea accentratrice ed autoritaria, che si esprime attraverso il dominio del potere esecutivo su quello legislativo, squilibrando i poteri e così alterando il disegno istituzionale e lo stesso equilibrio democratico del Paese.

Non si tratta di conservatorismo nell’architettura istituzionale, la questione riguarda la democrazia italiana. L’ascesa di Renzi ha già dimostrato come si costituiscono i governi nelle stanze dei poteri forti, senza nemmeno il fastidio del voto. Nell’ipotesi contenuta nella Riforma i prossimi governi si ritroverebbero eletti con manciate di voti ma dotati di poteri straordinari e privi di controllo da parte dei due rami del parlamento. Il che aprirebbe ulteriormente la strada ai governi delle elites.

Per questo la posizione dell’associazione che rappresenta i partigiani, cioè chi ha versato il sangue per la liberazione dalla dittatura fascista alleata della monarchia e ha reso possibile la stesura di una delle costituzioni più belle del mondo, non poteva essere diversa da quella di un rotondo ed inappellabile NO. Ovviamente il colpo è stato duro: la scelta dell’ANPI rappresenta un rifiuto che pesa sul piano della connessione sentimentale della storia partigiana con il popolo della sinistra e con lo stesso PD. Ma per un governicchio che ha deciso d’immolarsi sulla riforma e che vede speranze solo nel compattamento di quello che resta dell’elettorato del PD, la posizione dell’Anpi complica ulteriormente il cammino.

Da qui le parole acidognole della Boschi, puntualmente stigmatizzate. Renzi è dovuto correre ai ripari, cercando di annacquarle in un indistinto afflato polemico che, a sentir lui, accompagnerebbe la vicenda quotidiana del suo partito. La verità è che il terreno comincia a mancare sotto i piedi: l’aver legato la sopravvivenza del suo ruolo politico all’andamento del referendum si è già dimostrato un azzardo pericoloso, una sorta di riflesso pavloviano, una manifestazione bullesca della velocità propagandistica con la quale tace su ciò che fa e annuncia ciò che non fa.

Pentitosi così già abbondantemente di aver pronunciato l’ultimatum, Renzi si trova ora a dover tentare di recuperare spazi nell’area del suo stesso elettorato. Ripetutamente sollecitato dagli editorialisti dei media allineati, cerca quindi di ridurre il livello di coinvolgimento di coloro che, anche oltre il merito della ferita alla Costituzione, si recheranno a votare per il solo piacere di vederlo cadere e andarsene, con la speranza che ameno questa volta, faccia quello che annuncia: ovvero che in caso di sconfitta davvero salga sul Colle a presentare le dimissioni. Maria Elena Boschi, com’è accertato, è legata a vario titolo al Presidente del Consiglio e, come ha dichiarato ieri, ne seguirà la sorte. C’è già stato nella storia un esempio di tanta devozione. Ma allora si trattò di tragedia, oggi di farsa.

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