di Elena G. Polidori

Succede tutte le volte che una corrente interna ad un partito decide di giocare il tutto per tutto: volti spaesati e incerti dei militanti più accesi, sguardi riflessivi per non dire preoccupati dei dirigenti, silenzi delle platee che attendono dal palco quella frase che segna il momento della svolta. E’ successo così anche sabato scorso alla Fiera di Roma, assise della sinistra Ds. E’ stato quando Cesare Salvi, davanti a tremila dello zoccolo più duro dei Ds, ha fatto partire la controffensiva del “correntone” con una nota spiazzante e ultimativa: “Se dovesse nascere il Partito Democratico, il prossimo potrebbe essere l’ultimo congresso dei Ds”. Ma è stato Fabio Mussi, leader da sempre della frangia sinistra del Botteghino, da lui guidata attraverso cinque anni e due congressi, a dettare lo spartito della svolta e della sfida. “Il correntone non c’è più; e al prossimo congresso non ci andiamo per partecipare, ma per vincere”. Un proclama politico che molti quadri diessini e parecchi militanti hanno accolto come una buona notizia e che, senz’altro, Fassino ha appreso senza entusiasmo alcuno. Quella sinistra che non si arrende all’idea di liquidare la Quercia nella melassa rosa del Pd è riemersa dall’assise dell’Eur, unita e con un manifesto comune “per il socialismo del futuro” a cui hanno aderito correnti che fino all’ultimo congresso erano divise; i “socialisti” di Cesare Salvi, gli ambientalisti di Fulvia Bandoli e i laburisti di Valdo Spini. Una doccia fredda, di certo, anche per Prodi. Il quadro, a questo punto, cambia. E al congresso di primavera le cose saranno più complicate per la segreteria Ds perché la minoranza è diventata una e non tante. E di mozioni ce ne saranno due. A guardarlo dal fronte dell’assemblea dell’Eur e da questa prima uscita della nuova sinistra dei Ds, l’erigendo Partito Democratico sembra messo più male di prima. Il che, in un certo senso, è tutto dire. Perché, comunque vada, dal congresso la Quercia ne uscirà profondamente lacerata. E Rutelli, di certo, non sta facendo il tifo per il contrario.

Già, Francesco Rutelli. Se il vicepremier di Prodi non avesse sentito il bisogno di ribadire, alla vigilia di questa assemblea, che “il Pd, mettetevelo bene in testa, non aderirà mai all’Internazionale Socialista e al partito Socialista europeo”, forse le cose, all’Eur, non sarebbero scivolate così, con il correntone in archivio e una mozione unitaria di fuoco da giocarsi tutta al congresso. Ma rendere più debole il Botteghino è un gioco a cui la Margherita si sta esercitando, con indubbio successo, da diversi mesi. Ed è un gioco facile in assenza di una segreteria Ds forte, capace di contrapporre ai presunti riformismi di facciata la propria identità storica e politica come base di discussione imprescindibile per la nascita del Pd. Come dare torto, oggi, a Mussi, di non aver taciuto questa imbarazzante realtà?: “Perché dobbiamo affannarci per far diventare Rutelli un po´ più socialista e lui si deve affannare per farci diventare un po´ più democristiani?”. Già, perché?

La risposta è arrivata direttamente da Salvi, che ha avuto altrettanto buon gioco, vista l’aria che tira, nel dichiarare che D’Alema e Fassino hanno fallito. Aggiungendo poi che “votare per la nascita del Pd rimandando a dopo la scelta sulla collocazione europea, è un imbroglio”. Forse non è scissione conclamata, di certo è un dissenso profondo difficilmente ricomponibile, soprattutto in sede congressuale, sotto l’egida dell’attuale squadra dirigente del partito. D’altra parte, ancora, sono i numeri che fanno parlare la politica e che ne decretano, nel caso, il fallimento di una linea e di una progettualità: nel ’96 i Ds presero il 21%, oggi sono ad un modesto 17%. “E quando un partito va male – ha chiosato Salvi, stavolta con una vena di perfidia – si cambiano linea politica e dirigenti; da noi, invece, quegli stessi dirigenti vogliono mandare a casa il partito”. Un po’ come diceva Bertold Brecht: “Se il popolo non è d'accordo con il partito sciogliamo il popolo”. Per fortuna c’è chi dissente.

A dispetto dei sondaggi, che danno l'80% degli iscritti Ds favorevoli al Pd, Mussi, Salvi e Bandoli sono convinti che nella base e nella stessa maggioranza fassiniana si registrino molti dubbi sulla prospettiva. E le prime file dell'assemblea dell’Eur non potevano che far rafforzare questa convinzione, che sia davvero possibile “giocare la partita”. Seduti a pochi metri dal palco ascoltavano attenti Brutti e Caldarola, orientati a sottoscrivere una mozione che punti sulla federazione Ds-Margherita. E la platea si è infiammata ascoltando le parole di un quasi novantenne, Giovanni Pieraccini, un vecchio socialista, già ministro del primo governo Moro. Figurarsi.

La minoranza Ds, dunque, ha cominciato a piantare paletti senza, tuttavia, scoprire molte delle carte utili al gioco. Ad esempio, non è stato messo in campo alcun nome di candidati da opporre a Fassino. Potrebbe essere lo stesso ministro per l'Università a scendere in lizza, come sussurrano in molti, anche se il ruolo che svolge Mussi nel governo Prodi potrebbe consigliare scelte diverse. In tal caso è possibile “una sorpresa”, forse quella di una donna, la stessa che ha concluso l’assise dell’Eur, Pasqualina Napoletano, vice presidente del Pse. Ma è presto per dirlo. Le norme che impronteranno il congresso, tra l'altro, sono ancora da definire anche se Mussi su questo fronte, ha fatto la voce grossa, evocando “regole occidentali” lontane dai voti segreti, dal mercato delle tessere e dal solito boom delle vocazioni in vista delle assemblee plenarie. Un cahier de doleance zeppo di buone intenzioni legalitarie che avranno, senz’altro, un brusco impatto con la realtà congressuale primaverile. Dove, se le cose andranno male, si potrebbe anche verificare davvero una scissione. “Ma non saremo noi ad abbandonare la Quercia – ha chiarito Mussi - noi siamo nei Ds e nessuno osi chiamarci scissionisti, diamo Stalin seppellito per sempre”.

Ma Stalin, è ovvio, non c’entra nulla. Mentre sembra evidente, allo stato attuale dell’arte, che il partito democratico nascerebbe già fallito, un’anatra zoppa con conseguenze devastanti per Prodi e l’attuale maggioranza di governo. Ecco perché, tra le file dell’assise dell’Eur, si vociferava di una possibile discesa in campo di Veltroni come elemento di rilancio della prospettiva ulivista attraverso una federazione tra partiti che prenda in considerazione, ma solo come prospettiva, la nascita di un partito unico. Un’ipotesi su cui, al momento, la sinistra Ds preferisce non commentare perché di là da venire e che è forse destinata comunque a turbare parecchio il sonno di Fassino e di Rutelli. Per non parlare di quello, già agitato, di Prodi. D’Alema, invece, dicono che continuerà a dormire tranquillo. A meno che non si svegli..

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