di Antonio Rei

Uno degli obiettivi mai dichiarati ma più che evidenti di Matteo Renzi è azzerare il ruolo politico dei sindacati, ridurli a una congrega di pittoreschi buontemponi con cui si parla solo per cortesia, senza nemmeno l'idea di un dialogo. In questa miserabile verità coincidono il punto di partenza e d'arrivo delle polemiche fra il Presidente del Consiglio e i rappresentanti dei lavoratori su Jobs Act e legge di Stabilità.

Un calderone in cui lo scontro politico più rilevante è quello che da qualche giorno contrappone il Premier al segretario della Fiom, Maurizio Landini. "La modifica dell’articolo 18 preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base", dice Renzi. "Il governo non rappresenta gli interessi dei lavoratori", replica il sindacalista. 

Di per sé, il botta e risposta non stupisce affatto. Nell'orizzonte culturale tragicamente limitato del Premier la parola "concertazione" equivale a una bestemmia che evoca il puzzo stantio dell'immobilismo passato, il primo capretto da sacrificare sull'altare del nuovo decisionismo alla fiorentina.

L'ideologia renziana prevede che a decidere sia il Capo, punto e basta. Tutto riconduce a questa unica regola fondamentale: la squadra di governo composta perlopiù yes-men (and women), ministri improvvisati il cui primo compito è essere d'accordo col boss; l'ostracismo di quella fetta di partito che - dopo aver portato i voti con cui ora il Pd è al governo - osa esprimere un punto di vista differente da quello del nuovo Padrone; lo svuotamento del potere legislativo del Parlamento, trasformato in una congrega di passacarte chiamata a votare fiducie a iosa, mettendo bocca il meno possibile.     

In un contesto del genere, che speranza possono avere i sindacati? Nessuna, è ovvio. Di qui la scena grottesca dei tre segretari confederali che si siedono a parlare della manovra con i rappresentanti del governo, per poi alzarsi e riferire attoniti che gli interlocutori "non avevano mandato a trattare". Perché il Capo aveva detto loro di andar lì a fare scena, nulla di più. Tutto ciò è assolutamente coerente con l'idea che Renzi ha del ruolo delle istituzioni.

L'unica nota stonata in questa sinfonia, altrimenti accordatissima, è proprio Landini. Quando il nuovo governo è entrato in carica sembrava che il leader dei metalmeccanici avesse un rapporto a dir poco privilegiato con il Premier. Un accenno d'intesa che però non aveva nulla a che vedere con gli interessi degli operai: Renzi teme Landini perché nella morta gora della sinistra è il solo comunicatore in grado di tenergli testa, il solo capace di raccogliere intorno a sé un consenso non trascurabile, il solo - potenziale - avversario politico. Meglio averlo come amico, no?

Il segretario della Fiom non è però l'ultimo degli sprovveduti e si sottrae al bacio della morte. Sfrutta per quanto possibile la corsia preferenziale che il capo del Governo gli riserva, ma si rende conto che dare un minimo segnale d'assenso su una delle tante assurdità contenute nella manovra e nel Jobs Act significherebbe per lui la morte politica istantanea.

"Su Renzi ho cambiato idea quando ho capito che ha scelto le politiche di Confindustria e di seguire quello che gli chiedeva l'Ue - ha detto Landini ai microfoni di In Mezz'ora -. Quando incontrai Renzi parlammo di articolo18. Lui mi disse che l'Europa premeva su di lui e io gli dissi che se avesse toccato l'articolo 18 avrebbe aperto la strada per un conflitto nel Paese. All'inizio diceva di voler cambiare Paese e io dissi 'cambiamolo insieme'". Pia illusione.

Landini assicura poi di non puntare alla politica: "Io voglio continuare a fare il sindacalista, voglio che sia chiaro che a me di fare la minoranza non me ne frega proprio nulla. Voglio rappresentare le persone. Per cambiare un Paese lo devi governare, non devi stare all’opposizione". E allora, intanto, via libera agli scioperi e alle manifestazioni "in piazza il 14 novembre a Milano e il 21 a Napoli" contro le politiche del governo che "non stanno andando verso più tutele, più diritti, meno precarietà, un rilancio degli investimenti - chiosa Landini - Vogliamo conquistare un confronto che Renzi ci nega".

Se il Premier non spegnerà questo incendio da lui stesso appiccato rischierà di perdere non pochi voti, considerando che un sondaggio dell’Istituto Piepoli accredita un eventuale partito Fiom attorno al 10%. Renzi lo sa, ma, per il momento, nemmeno questo basta a fargli mettere in dubbio la sua concezione del potere come esercizio solitario. "Se si arrivasse a una scissione, ma non ci si arriverà - si bulla il Capo del Governo -, la nostra gente sarebbe la prima a chiedere: che state facendo?". Non sono d'accordo con lei, Presidente. E' ancora legale.

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