di Antonio Rei

In teoria la presidenza italiana dell'Unione europea è iniziata il primo luglio. In pratica nei primi due mesi e mezzo abbiamo messo in piedi soltanto le riunioni dell'Eurogruppo e dell'Ecofin andate in scena lo scorso fine settimana a Milano. E il risultato è stato grottesco. Chi si è divertito di più è stato Jyrki Katainen, commissario uscente alle Attività economiche e monetarie e (soprattutto) vicepresidente entrante della Commissione Ue con potere di veto su tutti i portafogli economici.

Per l'ex Premier finlandese, alfiere del rigore e sherpa dichiarato di Angela Merkel, deve essere stato un vero spasso bacchettare e rimbrottare a ripetizione Matteo Renzi.

"Noi rispettiamo il 3%. Siamo tra i pochi a farlo. Dall'Europa dunque non ci aspettiamo lezioni, ma i 300 miliardi di investimenti", scrive su Twitter l'ex sindaco di Firenze, facendo riferimento alle risorse promesse dal neopresidente Jean Claude Juncker per rianimare l'economia europea. "Non siamo maestri, ma interpreti di quanto tutti i Paesi rispettano gli impegni presi e di quello che hanno promesso agli altri Paesi", replica Katainen.

E poi ancora, il giorno dopo: "Stop all'ubriacatura tecnocratica - tuona il premier italiano - non è l'Europa a dirci cosa dobbiamo fare da grandi. Siamo noi che chiediamo conto dei 300 miliardi d'investimenti". Quasi uno scherno la replica del finlandese: "Ho un rapporto di collaborazione molto buono con Matteo Renzi", tuttavia "le riforme non bisogna solo progettarle, ma anche realizzarle. Se hai la ricetta del medico ma non prendi la medicina, la medicina non serve".  Mancava solo il gesto del cucchiaino da portare a mo' di aeroplano verso la bocca del baby Premier.

La flemma nordica del falco Katainen tradisce la consapevolezza di tenere al guinzaglio il Presidente del Consiglio italiano. Una sicumera venata perfino da qualche moto di tenerezza in occasione dei tweet e delle sparate da capetto dell'ex sindaco di Firenze.

Renzi blatera slogan con cadenza quotidiana, ma ha in mano molto poco. A Bruxelles lo sanno e lui stesso ne è perfettamente consapevole. Per rendersene conto basta togliere l'audio alla televisione e concentrarsi su ciò che il Premier ha fatto, non su quello che ha detto. I risultati concreti, a ben vedere, sono pari a zero, eccezion fatta per la nomina di Federica Mogherini alla poltrona (inutile) lady Pesc, poco più di un contentino a fronte di una Commissione dominata dalla destra.

Sabato, mentre il nostro Presidente del Consiglio ripeteva da Bari il mantra dei 300 miliardi, a Milano i "tecnocrati" da lui bacchettati si guardavano bene dal toccare l'argomento. Anzi, il governatore italiano Ignazio Visco ha perfino precisato che è necessario sì ripartire dagli investimenti, "ma da quelli privati". Per i quali forse arriveranno degli incentivi: fine degli interventi a sostegno della ripresa.

Intorno ai tavoli delle riunioni ufficiali non si è nemmeno approfondito il tema della flessibilità, specchietto per le allodole circolato prima delle nomine per la Commissione e ora prontamente accantonato. In compenso, i leader dell'economia europea hanno ribadito per l'ennesima volta che il rigore dei conti non si mette in discussione, e hanno convenuto sulla necessità di una "supervisione comune" per le riforme strutturali dei vari Paesi. Si tratta ovviamente di un eufemismo che richiama quella "cessione di sovranità" cui lo scorso mese aveva accennato il presidente della Bce, Mario Draghi.

Di fronte a tanta risolutezza di Renzi e a tante porte in faccia dai "tecnocrati", viene da pensare che il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, abbia passato intere giornate a dare battaglia, schiumante rabbia. Peccato che l'ex capo-economista dell'Ocse fosse d'accordo su tutta la linea con i suoi colleghi europei. Pur di non contraddire nessuno, Padoan ha indossato anche i panni di Samuel Beckett, recitando una battuta da teatro dell'assurdo: "Il controllo europeo sulle riforme è uno strumento utile, è un controllo reciproco dei Paesi tra pari che si scambiano esperienze: non è solo un elemento di disciplina, ma anche di apprendimento".

Insomma, il ministro pare credere che se la Germania metterà bocca nelle riforme italiane, l'Italia potrà fare altrettanto in quelle tedesche.  E' già tanto riuscire a esprimere questo concetto rimanendo seri.

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