di Carlo Musilli

Il semestre italiano di presidenza Ue è cominciato ormai da una settimana e ancora tiene banco la diatriba sulla possibile introduzione di maggiore flessibilità nei parametri di bilancio dei Paesi europei. In teoria, le fazioni sono due: da una parte Italia e Francia, con il premier Matteo Renzi che chiede a gran voce più margini di manovra per favorire la crescita; dall'altra la Germania e vari altri membri del solito asse del nord (fra cui Olanda e Finlandia), che continuano a osannare il rigore dei conti.

Le squadre sono chiare, molto meno lo scopo del gioco. Cosa s'intende, in concreto, per flessibilità? All'orizzonte c'è solo nebbia e per vederci chiaro dovremo aspettare più del previsto. La settimana scorsa alcune fonti interne all'Eurogruppo hanno lasciato trapelare che la discussione sul Patto di stabilità si svolgerà in autunno, "in occasione della presentazione dei progetti di bilancio degli Stati e del rapporto sul funzionamento del six pack e del two pack da parte della Commissione". 

Almeno per i prossimi due-tre mesi, quindi, i ministri finanziari dell'Unione non ci spiegheranno di cosa stanno parlando. Fin da ora, tuttavia, sappiamo benissimo di cosa non stanno parlando: la spina dorsale del Fiscal Compact non viene messa in discussione e il tetto del deficit/Pil annuo al 3% resta per tutti un limite invalicabile. Su questo punto sono tutti d'accordo, anche Renzi. "Nessun primo ministro ha chiesto la modifica delle regole - ha confermato venerdì scorso Josè Manuel Barroso, presidente uscente della Commissione europea, nel corso di una visita a Roma - ma noi crediamo che le regole stesse prevedano alcuni margini di flessibilità".

Quali sono questi margini? Sul tavolo c’è l’ipotesi di scorporare dal computo del deficit gli investimenti a sostegno dei progetti in regime di cofinanziamento con l’Unione europea. Una strada contemplata dallo stesso Patto di Stabilità (fu suggerita due anni fa anche dall’ex premier Mario Monti), che garantirebbe risorse per la crescita a tutti i Paesi dell’Ue, Germania compresa. Nulla a che vedere, perciò, con lo sforamento del famoso 3%, che assicura a chi ne beneficia dei margini di crescita ben più significativi.

La possibilità di superare il limite del deficit, peraltro, è prevista dal Trattato di Maastricht, ma solo a singoli Paesi (non certo a tutti) e in determinate condizioni. Fu concesso ormai più di 10 anni fa proprio alla Germania (oltre che alla Francia), la quale ne ha tratto ampi vantaggi in termini di Pil.

Di fronte a un quadro simile, appaiono francamente incomprensibili le scaramucce della settimana scorsa fra Roma e l'accoppiata Berlino-Francoforte. Ad aprire le danze ci ha pensato il ministro tedesco dell’Economia, Wolfgang Schaeuble, che ha detto di "rifiutare il tema della flessibilità", pur ammettendo la necessità "di aumentare la crescita e gli investimenti". Gli ha fatto eco il presidente della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, attaccando apertamente il Premier italiano: "Renzi ora ci dice cosa fare, ma aumentare i debiti non è il presupposto della crescita".

Più che una critica destabilizzante, quello di Weidmann è stato un meraviglioso assist per il nostro presidente del Consiglio, che ha avuto buon gioco a presentarsi come libero pensatore e statista capace di tenere testa ai falchi tedeschi. Dapprima, una perentoria replica di Palazzo Chigi: "Se la Bundesbank pensa di farci paura forse ha sbagliato Paese. Sicuramente ha sbagliato Governo".

Poche ore più tardi, una conferenza stampa in cui il Premier si è espresso in questi termini: "Il compito della Bundesbank non è di partecipare al dibattito politico italiano. Io rispetto il lavoro della Banca centrale tedesca, quando vuole parlare con noi è benvenuta, ma il presupposto è che l'Europa è dei cittadini e non dei banchieri né tedeschi né italiani".

D'altra parte, Renzi ha garantito anche che "il rapporto con la cancelliera Merkel, nonostante le polemiche che si leggono sui giornali, è ottimo", mentre il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, e il titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan, si sono affrettati a negare qualsiasi tipo di frizione diplomatica con la Germania.

Ma come potrebbe essere altrimenti? I tedeschi non hanno alcuna ragione di polemizzare con il nostro Paese semplicemente perché il governo italiano non ha ottenuto alcun risultato che giustifichi il malcontento di Berlino e Francoforte. Non c'è stata alcuna vittoria di Renzi sulla Merkel. Al contrario, nelle conclusioni dell'ultimo vertice Ue tutti i capi di Stato e di Governo ribadiscono l'impegno a rispettare il Fiscal Compact.

Di flessibilità si parla solo in termini assai vaghi, ma si precisa in modo chiarissimo che ogni deroga al Patto è esclusa. Se mai lo scomputo dei cofinanziamenti arriverà, non sarà certo una sconfitta per i tedeschi, che ne beneficeranno come se non più di tutti gli altri. Insomma, il timone della politica economica europea si sposterà forse di qualche centimetro, ma non ci sarà alcuna svolta. Anche se i timonieri fanno finta di litigare. 






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