di Antonio Rei

E' sempre così la prima volta che mangi al tavolo dei grandi: vuoi fare bella figura. Vuoi far vedere che anche tu hai studiato, anche tu hai fatto i compiti, anche tu la sai lunga. Cambia poco se il tavolo in realtà è il Parlamento europeo, ancora meno se il giovanotto in questione è un premier 40enne che presenta al mondo il suo piano per l'Ue.

Un piano? Macché, niente piano. Davanti all'assemblea di Strasburgo, Matteo Renzi chiarisce subito che il suo discorso non avrà niente a che vedere con i progetti concreti per il semestre italiano di presidenza europea. Chi fosse interessato a dettagli del genere si vada a leggere le carte (lo diceva anche anni fa, durante la campagna elettorale per le primarie: "Il programma? Andatevelo a guardare sul sito").

Sgombrato il campo dal timore che possa entrare nel merito di qualcosa, il Premier si lascia trasportare dal consueto, impetuoso fiume di cazzeggio. E allora sotto con una bella infilata di slogan: "Senza crescita non c'è futuro", "L'Italia farà la sua parte, non chiediamo scorciatoie", "Non esiste un’Europa senza la Gran Bretagna", "Dobbiamo ritrovare la nostra anima" e via chiacchierando.

Stavolta però, oltre alle solite amenità della politica da Baci Perugina, il buon Matteo distilla anche una collana di perle culturali. In un attacco di bulimia citazionista, smitraglia sui poveri parlamentari una raffica di pallettoni caricati a polvere di liceo classico: "Questa mattina si è chiuso il semestre greco - ricorda Renzi -. Se immaginiamo quale sia il testimone tra Grecia e Italia, pensiamo al rapporto tra Anchise e Enea, tra Pericle e Cicerone. Grecia e Italia sono agorà e foro, il tempio e la Chiesa, il Partenone e il Colosseo. E invece non pensiamo a questo quando parliamo di Grecia e Italia, e neanche al senso della vita, nonostante Aristotele e Dante, Archimede e Leonardo".

Ricorda vagamente uno degli elenchi di Fiorello quando imitava Gianni Minà ("eravamo io, Fidel, Compay Segundo, Teófilo Stevenson, Sotomayor, Lino Padruba e la sua Jazz Band, Tarek Aziz, Arthur Ashe..."). Ma qual è la morale? Quando si parla di Italia e Grecia, non si deve pensare allo spread, bensì alla grandezza insita nel nostro glorioso dna. Chi l'avrebbe mai detto, eh?

La vera bomba, però, è un'altra. Renzi la sgancia col necessario afflato retorico: "In Europa c'è una generazione nuova, la generazione...". Alt. E' qui che arriva il vero colpo di scena. Tutti o quasi pensano che si rimetta a parlare della mitica "generazione Erasmus". E' un suo cavallo di battaglia, già snocciolato all'insediamento del Governo. L'Erasmus, per chi non lo sapesse, è quel programma che permette ai giovani europei di andare a studiare all'estero (a giudicare dal suo inglese, Renzi lo avrà fatto a Fiesole).

Invece no. Stavolta ci stupisce: "...la generazione Telemaco". Telemaco? Per fortuna il Premier ci spiega anche che trattasi del "figlio di Ulisse" e che noi  "abbiamo una missione ancora più difficile della sua da portare avanti". Nell'Odissea Telemaco partiva alla ricerca del padre, che poveretto ne stava passando di ogni tipo. Renzi poteva costruire la metafora direttamente con Ulisse, ma dai... Telemaco è più giovane.

Il punto però è un altro: da dove gli è uscito fuori "generazione Telemaco?". Di solito il nostro Presidente del Consiglio parla semplice, ma a Strasburgo ha prevalso il desiderio di una legittimazione almeno culturale, la voglia di stupire i colleghi diffidenti. Compreso il premier olandese Mark Rutte, che poco prima lo aveva impallinato annunciando che all'ultimo vertice Ue Olanda e Germania hanno "stoppato" il tentativo di Francia e Italia di ammorbidire le regole di bilancio del Fiscal Compact.

Chissà se Telemaco e compagnia cantante basteranno a distrarre l'Europa dalla verità che Rutte ha svelato e che le conclusioni del vertice confermano nero su bianco. In caso contrario, niente panico. Nel manuale del liceo c'è ancora un sacco di gente, oltre a Telemaco. 

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