di Rosa Ana De Santis

Una città semi blindata tra la sicurezza pre derby e l’annunciata marcia dei forconi per una domenica che è stata invece di ordinaria tranquillità. Le tifoserie hanno rischiato di diventare più incandescenti delle protesti presunte popolari. I primi lanci di agenzia parlano di una manciata di una decina di persone e di un breve corteo partito da Piazzale dei Partigiani dove era previsto il presidio. Il leader del Movimento, Danilo Calvani, arriva a parlare di un 3.000 persone radunatesi nei giorni anche precedenti alla domenica della marcia, ma il flop di partecipazione arriva nonostante le conte aritmetiche.

Certo è che, per fortuna, il clima di tensione che sembrava i forconi potessero portare per le strade della Capitale non c’è stato e persino il presidio è stato smantellato per motivi logistici non ben chiariti. Qualche blitz nella città, l’arrampicata scenografica sulla Piramide e una delegazione spedita a Montecitorio con il manifesto di un’opposizione spontanea e forsennata contro “tangentisti e corrotti” di Governo, recitando il ritornello del “popolo è sovrano”.

La protesta della domenica bestiale si è conclusa con una pesante spaccatura all’interno del movimento tra il leader, contestato, e chi voleva osare di più contro il cordone delle forze dell’ordine e sotto le sedi istituzionali. A Piazzale dei Partigiani quindi, la sera della domenica tanto attesa della marcia su Roma, i forconi hanno iniziato a pagare il prezzo di una forte disorganizzazione interna che altro non è se il segno di una non chiara identità.

Un manipolo di esasperazione popolare, uno sfogatoio improvvisato e aggressivo che non fa che accendere il potenziale di malcontento senza aggiungere nulla allo scenario della crisi nazionale. Non fosse intriso di personaggi davvero squalificati, potremmo considerarlo la versione destrorsa di un Movimento Cinque Stelle che però, per quanto populista nell’anima, ha scelto la strada dell’alfabeto politico e degli strumenti che pur con tutte le derive plebiscitarie online che conosciamo, rimangono democratici almeno all’esterno del movimento.

I manifestanti cantano l’Inno nazionale e sventolano il tricolore, ma non ci stanno ad essere etichettati come contigui all’estrema destra di ogni fattura. Eppure non sfugge a qualche fotografo un braccio teso che richiama il saluto fascista, se pur smentito subito dopo come mal interpretato.

Nella giornata di lunedì la protesta si sposta sotto il Palazzo di governo e una folla non ben governabile rimane sotto le finestre ad urlare e, non si capisce bene il perché, a tentare di oscurare le telecamere dei giornalisti presenti. Il flop dei numeri, aldilà dei tentativi di malcelarlo da parte del leader che parla di “persone vere”, viene offuscato dalla ideazione spot di nuovi presidi, imprevedibili, disorganizzati e rischiosi per l’ordine pubblico, che muovono poliziotti e stampa. A coronare l’alto tasso di confusione c’è stato addirittura, nei due giorni della protesta, l’appello allo Stato del Vaticano con l’occupazione di Santa Maria Maggiore.

La protesta dei forconi è certamente il prodotto doc di un paese flagellato, ma nella sua pochezza programmatica che non risparmia nemmeno le forme di protesta più aggressive e confusionarie, produce, almeno ad oggi,  più folclore che timore. Quali possano essere le evoluzioni è difficile da prevedere, quali echi risveglino, se pur con un’organizzazione maccheronica e una leadership fiacca e sprovvista di qualsiasi pathos oratorio che possa plasmare gli animi, è altrettanto semplice immaginarlo. Oggi, questo è il dato sicuro, invece dei forconi che bloccano strade e riempiono Tg, bastava Pasquino.

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