di Fabrizio Casari

La lettera di dimissioni firmata dai ministri berlusconiani ha sostanzialmente aperto la crisi di governo. Con la visita dovuta del premier Letta al Presidente Napolitano di ieri sera ha così avuto inizio la ritualità consueta delle crisi parlamentari. Inutile dilungarsi qui sul cosiddetto “senso di responsabilità nazionale” che dovrebbe avere e che non ha Berlusconi: chiedere a chi ha spolpato il paese per arricchire la famiglia un sussulto di responsabilità politica è come chiedere al boia di abbassare dolcemente la leva della ghigliottina.

Sotto la probabile regia di Letta zio, i distinguo dei berlusconiani comincino a manifestarsi - Lorenzin, Lupi, Quagliarello, Di Girolamo e lo stesso Alfano in qualche modo prendono le distanze dal cavaliere in scadenza- ma non è certo possano invertire il destino del governo. In alternativa, il ritorno alle urne appare inevitabile e, per alcuni, auspicabile. 

C’è però, a complicare gli auspici di chi vorrebbe le elezioni immediatamente, una questione di tempistica della crisi. A giorni dovrebbe cominciare la discussione sulla legge fondamentale, quella di Bilancio, della quale entro il 5 Ottobre la Ue dovrebbe ricevere la bozza. Va approvata entro il 31 Dicembre, pena la sostanziale messa in amministrazione controllata da parte di Bruxelles dell’Italia. Come la si potrà varare in piena campagna elettorale?

Sempre entro Dicembre, poi, la Consulta dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità della legge elettorale vigente: che succederebbe se si andasse a votare con il Porcellum e poi, in piena coda di campagna elettorale la consulta la dichiarasse incostituzionale? Va ricordato che dallo scioglimento delle camere, la legge prevede 52 giorni di campagna elettorale.

E’ in corso un grande lavorìo, con la regia di Napolitano, al fine di trovare una maggioranza alternativa al Senato per dare modo al governo di andare avanti. Martedì il governo chiederà la fiducia in aula e nell'occsione si conteranno le divisioni interne al PDL e alle altre forze politiche. Un Letta-bis potrebbe anche disporre dei numeri, ma difficilmente del consenso politico se volesse presentarsi con un programma che ambisse ad andare oltre l'emergenza.

Perché ammesso e non concesso che tra le fila berlusconiane ci siano significative defezioni e che Casini (la cui unica linea politica è quella di cercare i transfughi degli altri per provare ad avere qualcosa di suo) riesca a comporre uno straccio di schieramento da pronto soccorso del governo, non è detto che il PD accetterebbe un rattoppo del già lacero vestito. Epifani ha già dichiarato l'indisponibilità del suo partito a "governicchi", ma un governo a tempo e di scopo, che presenta la legge di stabilità, finanzia la cassa integrazione e mette ai voti la nuova legge elettorale, potrebbe in qualche modo tentare il PD a sostenere il nuovo Esecutivo.

Certo, l’incubo di tornare a votare con il Porcellum potrebbe spingere stomaci forti ad ingoiare qualunque minestrone, ma l’approssimarsi del Congresso e la spinta di Renzi, deciso a staccare la spina alle larghe intese, potrebbero avere la meglio sull’ansia stabilizzatrice.

Peraltro, a buttare cera sulle ali delle larghe intese, c’è anche uno scarso entusiasmo per l’operato del governo. Difficile infatti valutare positivamente il lavoro del governo Letta. L’opinione generale è che abbia proseguito sulla scia di quello Monti ma, indipendentemente dalle affinità con il disastroso esperimento del bocconiano borioso e incapace a Palazzo Chigi, non c’è dubbio che i risultati del governicchio del conte zio siano stati un disastro da qualunque angolazione lo si voglia scrutare.

Letta ha espresso un governo privo di autorevolezza politica, ostaggio del collegio di difesa del caimano e privo di spinta riformatrice. Non solo i dati macroeconomici strutturali sono peggiorati ma persino sotto l’aspetto delle riforme politiche  - prima fra tutte quelle della legge elettorale - il segno che ha caratterizzato l’esperimento delle larghe intese è fortemente negativo.

L’Italia guidata da Enrico Letta e dalla sua rissosa compagine è messa ancor peggio di quando il nipote illustre varcò il portone di Palazzo Chigi. L’emergenza economica si è acuita. Lo spread sui titoli di Stato è tornato a livelli preoccupanti e rischiamo un nuovo declassamento del debito; è aumentato il differenziale nel rapporto tra deficit e PIL nonostante una ulteriore contrazione della spesa pubblica; la disoccupazione ha avuto una ulteriore impennata verso l’alto, così come il numero delle imprese che hanno chiuso in questi ultimi sei mesi. Ciliegina sulla torta l’inerzia di fronte alle vicende Alitalia, Telecom, Ilva. L’azione del governo è risultata sterile ed approssimativa.

Nessun prelievo straordinario sui patrimoni, nessun intervento per modificare il cuneo fiscale in modo da ridurre il costo del lavoro, nessun intervento per modificare in profondità le norme vergognose della riforma Fornero sul sistema pensionistico.

La contrazione dei consumi è stata ulteriormente approfondita dall’assenza totale di manovre di stimolo all’economia e lo sperpero di denaro pubblico per le opere inutili come la TAV, le missioni militari all’estero e l’acquisto degli F35 hanno contraddistinto la continuità con l’esecutivo guidato da rigor montis.

Abbiamo assistito ad un balletto sull’Imu durato mesi e conclusosi indecorosamente, senza cioè la tassazione sulle case di lusso, per affibbiarci in cambio l’aumento di un punto dell’IVA che aggrava ulteriormente la crisi dei consumi e produce recessione. Per non tassare i milionari, si sceglie d’impoverire i più poveri.

La campanella di Wall Street, del cui suono si è inebriato Letta, squillava pochi giorni addietro, proprio mentre i parlamentari PDL firmavano la lettera di dimissioni. Più che il suono di una campanella di benvenuto nel tempio della finanza speculativa mondiale, erano forse i primi rintocchi della campana a morto del suo governicchio.

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