di Fabrizio Casari

Personalità di spicco del mondo della cultura? Poche. Rappresentanti del mondo del lavoro? Ancora meno. Nelle liste elettorali, per la parte riservata alle personalità esterne ai partiti, abbondano invece i senza storia, i senza titolo, il niente con la fama intorno. La campagna elettorale dei partiti, più che dipanarsi sullo scontro tra programmi e identità politiche e culturali, per ora si esprime nel reclutamento dei famosi. Ed é tutto un fiorire di candidature della cosiddetta “società civile”, con ciò intendendo ogni persona che non vive facendo politica attiva, quelli cioé per cui la politica è la continuazione dell’esposizione mediatica con altri mezzi.

Sono i cosiddetti “prestati alla politica”, ma pare che soprattutto si prestino a farsi usare come specchietto per le allodole. Tra i partiti si è scatenata una guerra a chi si accaparra il nome più famoso, sia esso appartenente ad un campione dello sport (ma anche un ex può andar bene) come ad un esponente dello star system cinematografico e televisivo. Non saranno i nani e le ballerine dell’epoca craxiana, tantomeno le amiche traformate in deputate, ma certo è che lo spettacolo di bassa lega continua a giocare un ruolo determinante. Un ruolo da sottobottega, intendiamoci, giacché pochissimi dei candidati avranno la capacità e la disponibilità di ritagliarsi un ruolo preciso.

Nessuna illusione può essere coltivata: i partiti hanno obiettivi ben diversi da quelli che coltivano le starlette che salgono sul pulmino per il giro turistico della campagna elettorale. Loro sono solo la nota di colore, il tentativo di dimostrare che il partito che li presenta è aperto alla società civile e, soprattutto, che di quel partito c’è da fidarsi. La speranza implicita dei partiti è grosso modo quella d’intercettare i voti dei fans dei personaggi in questione, ritenendo (giustamente) che una parte dell’elettorato vota in ragione della simpatia e dell’antipatia, che decine di migliaia di voti vadano pescati nel tifo sportivo, nelle divoratrici di rotocalchi.

E loro, le starlette, in questo vuoto pneumatico, in questa licenza forzata dell’intelletto e della capacità critica di lettura dei fatti e dei misfatti, ci sguazzano. Sembrano più che altro soprammobili di un arredo vecchio, fungono da richiamo per i gonzi, servono ad occupare qualche mezza pagina dei settimanali di gossip ad uso del voto femminile. Non sono portatori di nessun valore aggiunto e ripropongono semmai, per i palati fini, il tema dei partiti ormai ridotti a puri comitati elettorali.

Il parvenu della politica, un tempo definito il sobrio professore, con il consueto tono metallico e monocorde tenta di cimentarsi nella sfida con il PD anche reclutando l’improbabile. L’ultima in ordine di tempo è la schermitrice Valentina Vezzali, un tempo disponibile, ovviamente in senso schermistico, a “farsi toccare” dal cavaliere di Arcore. Colpisce nella campionessa di scherma l’approccio alla politica: “Ho detto sì con piacere, adesso dovrò leggere il programma e cercare di capirci qualcosa”. Quando si dice una scelta ponderata e motivata.

Cosa dire? Non siamo nemmeno più di fronte ad un sussulto di protagonismo politico che invita a lasciare il campo dove ci si è guadagnata fama e onore per mettersi al servizio di un’idea, di un progetto, di uno straccio di proposta. Siamo in un’altra dimensione: quella della priorità del proprio status a prescindere dall’interesse per la materia. Si aderisce perché si ritiene che sia una buona operazione di marketing e d’immagine personale, un viatico economico importante, un modo come un altro di allargare le frontiere della propria personale fama. E a noi, che alla politica crediamo, ci viene forte la malinconia.

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