di Rosa Ana De Santis

Come nella migliore tradizione, anche in questa campagna elettorale Casini gioca a fare da sponda  senza alcun sussulto di autonomia. Questa volta è il turno del professore cui l’Udc ha garantito fedeltà assoluta, in modo a dir poco schienato. Novello avvocato difensore dell’agenda Monti, in barba ad ogni preoccupazione sociale sulla situazione del Paese, sembra piuttosto desideroso di blindare gli interessi che ruotano intorno alla lobby nascente della “lista dei carini” che finge di non avere collocazione politica (come se questo poi fosse un dato di merito) e che utilizza pretestuosamente la scusa della competenza tecnica tirannizzando la politica, ridotta ad accessorio servile con la disponibilità di due sconfitti cronici illustri: Casini e Fini.

Il picco di questa amnesia politica di Casini, che per anni ha adescato consensi con la retorica della neo democrazia cristiana, della tradizione dei La Pira e dei Moro, dello spirito costituente cristiano che ha dato molto alla giovane repubblica italiana, arriva nello scontro con Nichi Vendola. Alla denuncia del leader di Sel dello scandalo della ricchezza rimasta intoccabile sotto il governo dei tecnici, della divorante povertà popolare, all’iperbole dell’inferno per i ricchi, Casini reagisce con un impeto sorprendente, come soltanto il portaborse del professore Monti, ma nemmeno, forse come sua moglie o suo figlio farebbero.

Si indigna il leader di quella che voleva essere la nuova DC per un linguaggio marxista-leninista da anni 70: superato, fuori moda, insidioso, pensa lui. Molto poco adeguato ai rampanti della finanza, nominalmente imprenditori, che si sentono più giusti solo indossando il maglioncino al posto della cravatta.

Eppure “è più facile che un cammello passi nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” non è esattamente un frammento dei Lineamenti di economia di Marx, ma il Vangelo secondo Matteo. Non stupisce che sia Vendola a dare lezioni di cristianesimo e cattolicesimo a Casini, il quale è sempre stato solo un credente d’ufficio come quando la chiesa gli ha commissionato in Parlamento le campagne su aborto e eutanasia, ma non lo è mai stato abbastanza quando la politica avrebbe avuto il dovere di ragionare di laicità, equità e giustizia sociale.

Il Natale dei poveri, appena trascorso tra le mense di S. Egidio e la Caritas con le famiglie prostrate, avrebbero dovuto trovare in un politico di ispirazione cristiana un delatore pubblico delle immorali politiche di welfare adottate per omaggiare la finanza e per togliere le virgole dello spread; invece lo hanno visto osannare l’IMU dei ricchi, persone perbene, quasi come una prova di generosità. E’ bastata l’elemosina, come quella promessa ai malati di SLA, a dare a Casini la pace del confessionale per aver svenduto una tradizione, quella si davvero nobile pur con le nefandezze storiche,  al primo mercante del tempio.

Non è questione di romanticismo delle idee, ma di quel binomio morale-coerenza politica che rende le istituzioni degne della loro funzione. Rimane poco di tutto questo quando ci si lamenta della legge elettorale dopo però averla votata; oppure quando si dice no all’amnistia mentre ci si batte per tenere in lista un Lorenzo Cesa, condannato in primo grado per corruzione aggravata con sentenza annullata per vizio di forma ma che rimane ben custodito nella casa dell’Udc. La stessa di Cuffaro del resto.

L’ultra cattolico Casini deve aver letto male anche i Dieci Comandamenti, ma è perfettamente conscio di come, anche il perdono della Sacra Rota, possa arrivare quando si accompagni a legiferazioni utili alla causa di Santa Romana Chiesa o anche solo a giuste e comode appartenenze di censo. E’ proprio così che le prerogative di pochi uomini di Chiesa diventano peccati per il popolo di Dio.

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