di Carlo Musilli

Con un contropiede che nessun vero tecnico avrebbe mai concepito, il politicissimo Mario Monti salta fuori dalla trappola di Silvio Berlusconi. Lo fa annunciando che lui e il suo governo rimetteranno il mandato dopo l'approvazione della legge di stabilità, in arrivo prima di Natale. Il Capo dello Stato a quel punto scioglierà le camere e all'attuale Esecutivo non rimarrà che sbrigare l'ordinaria amministrazione fino alle elezioni. Il voto sarà quindi anticipato ulteriormente: secondo il numero uno di Montecitorio, Gianfranco Fini, sarà possibile già il 10 febbraio. Questo significa che la campagna elettorale si ridurrà all'osso, ai limiti dei termini di legge.

A prima vista si direbbe che votare un mese prima del previsto sia una novità di scarsa importanza. Ma non è così. In primo luogo perché sul piano politico lo scioglimento pressoché immediato delle camere spunta un'arma importante in mano a Berlusconi. Per risalire nei sondaggi (al momento catastrofici) e recuperare terreno al Senato (dove punta al pareggio), il Cavaliere intendeva proporre quel che resta del Pdl come unico partito d'opposizione passiva al montismo.

Con lo stratagemma ipocrita e un tantino vigliacco dell'astensione in Aula, l'ex premier contava di far dimenticare agli italiani che per un anno proprio i berluscones sono stati i principali azionisti dell'ormai rinnegato governo tecnico. Così facendo, almeno in quest'ultimo scorcio di legislatura, Pd e Udc si sarebbero sobbarcati da soli la responsabilità di portare a termine la beneamata agenda Monti.

Se questo non fosse stato il suo obiettivo politico, Berlusconi avrebbe potuto sfiduciare formalmente il Professore e mandarlo a casa nell'arco di un pomeriggio. Eppure il discorso in cui si è prodotto Angelino Alfano davanti alla Camera era volutamente ambiguo: "Riteniamo conclusa l'esperienza del governo Monti - ha detto venerdì il segretario Pdl -, ma vogliamo concludere ordinatamente questa legislatura", senza strappi e senza "mandare le istituzioni e il Paese allo scatafascio". Un autentico saggio di come sia possibile ottenere un risultato senza assumersene formalmente le responsabilità.

Monti ha incassato queste frasi come fossero un voto di sfiducia e ne ha tratto le conseguenze. Ora dice di sentirsi "più libero", per la gioia di chi sogna una sua candidatura. Rimane in ogni caso più verosimile che alla fine il Professore scelga di non legarsi formalmente ad alcun partito, in attesa di esser richiamato ancora una volta a salvare la situazione.

Su un altro fronte, invece, la vittoria di Berlusconi è stata come al solito disarmante. Parliamo naturalmente del fronte giudiziario. Ormai è dimostrata la legge secondo cui, per spiegare le mosse improvvise del Cavaliere, è sempre utile dare un'occhiata a quello che sta accadendo nella Procura di Milano. I processi berlusconiani in scadenza sono due: Ruby e Unipol. Il secondo, meno celebre, fa riferimento all'intercettazione tra Fassino e Consorte ("Abbiamo una banca?") pubblicata da Il Giornale in violazione del segreto d'ufficio.

Entrambi questi procedimenti dovrebbero arrivare a sentenza tra gennaio e febbraio. Con le elezioni anticipate, il Cavaliere conta di far slittare i pronunciamenti (soprattutto quello sull'accusa di prostituzione minorile) fino all'indomani del voto. In quest'ottica si spiega anche l'ennesima umiliazione inflitta al delfino incompiuto, Angelino Alfino, che si è visto negare ancora una volta la poltrona del leader: in qualità di candidato premier, nella babele di riunioni e comizi del partito, Berlusconi potrebbe ricominciare ad avvalersi del tanto sospirato "legittimo impedimento".

Ma non è finita qui. In linea teorica, le camere potrebbero convertire in legge i decreti anche dopo esser state sciolte. Nella situazione attuale, tuttavia, è assai probabile che la stragrande maggioranza dei testi in attesa d'approvazione finiscano nel dimenticatoio. Compreso quello sull'incandidabilità dei condannati, che anche nella forma "light" partorita dai professori (si salverebbe perfino Marcello Dell'Utri) continua ad esser mal digerito dagli stomaci pidiellini. Basti pensare che il processo Mediaset cadrà in prescrizione solo nel 2014. Il Cavaliere, già condannato a quattro anni in primo grado, rischia di non riuscire a uccidere anche questo procedimento. E se alla fine arrivasse una condanna definitiva, l'incandidabilità scatterebbe anche per lui. Con tanti saluti alle prossime discese in campo.

 

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