di Rosa Ana De Santis

“Non entro nel merito di decisioni interne, ma non mi è piaciuta la mossa che è stata fatta”. Così il (teoricamente) ministro delle Infrastrutture ha commentato l’ultimo episodio di bullismo aziendale di Marchionne. Le parole del Ministro Passera, che ormai rimbalzano ovunque, testimoniano invece tutta l’anima di questo governo che traghetta con orgoglio il paese in un’era storica in cui la politica va percepita come uno spreco tout court, una vanità, un lusso al tempo della crisi. La cosiddetta “strigliata” mediatica del Ministro assomiglia piuttosto a una tolleranza codarda per la policy Marchionne a nome di tutto il governo tecnico. La smania di togliersi il cappello davanti alle imprese è il segno più evidente di come il governicchio sia nient’altro che una propaggine delle stesse.

Mentre Marchionne compie una scandalosa “rappresaglia” sui lavoratori, causa ordine del Tribunale di reintegrare i 19 della FIOM, la politica non può fare a meno di spendere due parole di commento su questa ingloriosa pagina di storia economica del Paese. Ormai Marchionne è scansato da tutti e persino un suo fan come Renzi, che ai tempi del referendum vedeva in lui la panacea della produttività nazionale a tasso ridotto di diritti e di sindacati, deve prendere le distanze. Non si può fare diversamente in aria di primarie e di mandato elettorale restituito finalmente ai cittadini.

I licenziamenti annunciati sono "politici": non lo dice la FIOM, ma la Fiat stessa, che in un comunicato afferma che i destinatari dei provvedimenti avevano esposto posizioni critiche nei confronti del piano industriale proposto dall'azienda. Dopo circa un quarto d'ora, qualcuno in Fiat  si é reso conto delle ricadute anche giudiziarie che avrebbe avuto produrre il comunicato ed é corso ai ripari, rilanciando un nuovo comunicato, stavolta depurato dalle reali motivazioni.

L’assenza totale di reazioni all'altezza della situazione, sostituite da dichiarazioni di maniera, è la fotografia che immortala la resa ufficiale della politica non alla tecnica, ma alla legge del più forte. E’ il funerale di quello che dovrebbe significare governare un paese e occupare le sedi delle Istituzioni, che non è proprio la stessa cosa che sedere nel cda di una banca. Il laconico messaggio del Ministro è stato aggravato dal tentativo di giustificare l’indifferenza del governo e quasi le scuse per aver espresso commenti, spiegando che si tratta di azioni e decisioni interne all’azienda e in virtù di questo, avrà voluto dire,  al di sopra e al di fuori di ogni possibile competenza e intervento di governo.

Come se le aziende fossero non soltanto extra legem (cosa smentita dai tribunali dove Marchionne ha perso) ma aree della vita pubblica estrinseche alle funzioni di controllo e di naturale competenza della politica. Facile - ovvio - se la politica non c’è più. Mai nella Prima Repubblica un rappresentante di governo avrebbe potuto togliersi il cappello in modo tanto plateale di fronte a un’azienda, senza perdere la testa.

Il Piano Fabbrica Italia di Marchionne è passato in cavalleria con la promessa di non chiudere gli impianti, anche se questo, come sta accadendo, significa null’altro che tenerli fermi e con i lavoratori in mobilità. Tra il modello capitalismo della nuova FIAT e il governo non c’è alcuna discontinuità. Marchionne potrebbe essere degno ministro del governo Monti e Passera essere quello che mette i sigilli a Pomigliano d’Arco.

La scienza della politica alla lezione numero uno recita che la politica ha il pieno diritto di vigilare su quando accade nel paese, dentro al quale risiedono anche le aziende. I diritti, le tutele sul lavoro, il business stesso sono voci sottese al rispetto imprescindibile della legge e della carta costituzionale e non c’è recinto aziendale che tenga di fronte a queste inalienabili priorità di principio la cui sovranità non è questione per i tecnici dell’economia, ma per la politica e le Istituzioni. La proprietà privata in Italia è sottesa al valore del bene comune ed è l’articolo 42 della Costituzione a recitarlo, non il manifesto della FIOM.

Ed è evidente che non è l’esubero di 19 posti di lavoro il problema da cui partire per il risanamento di un’azienda che registra ogni giorno un tracollo delle stime di fatturato: dai 104 miliardi di ricavi previsti per il 2014 a poco più di 88. L’evidenza di una misura discriminatoria, irragionevole e intimidatoria avrebbe dovuto esigere un intervento di ben altra natura da parte del governo. La resa della politica cui assistiamo nulla c’entra con gli sprechi del potere, evidentemente nocivi e pericolosi, che tanto vanno di moda nella vulgata dell’antipolitica.

Senza i guardiani del diritto e della legge il paese non soltanto perde la strada della giustizia, ma anche la capacità di arginare svolte eversive del tessuto sociale. Forse è questo quello che vedremo alle prossime elezioni, quando una società sempre più afflitta dall’iniquità andrà alla ricerca della politica e troverà un vuoto di pensiero da riempire, con la prima ricetta populista disponibile e il primo uomo utile della provvidenza e “non importa come”. Così come insegna la storia di tutte le più odiose tirannidi e la spirale dei corsi e dei ricorsi che rischia di non fare eccezioni per questo governo, inflessibile con gli ultimi e con il cappello in mano davanti ai suoi miti.

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