di Carlo Musilli

Quando non c'è più modo di rimanere in sella, il fantino smonta e dà la colpa al cavallo. Dopo lunghe giornate fatte di esitazioni e trattative, Renata Polverini ha rassegnato le sue "dimissioni irrevocabili" da governatore del Lazio. Lo ha fatto scaricando ogni responsabilità sul Consiglio regionale che per due anni e mezzo l'ha sostenuta; per sé e per la propria giunta, invece, ha rivendicato un'immacolata verginità. Come se Presidente e assessori, anziché complici, possano essere vittime inconsapevoli dello scandalo, ingiustamente sacrificati per quel bottino di soldi pubblici dilapidato in allegria dal gruppo Pdl. Purtroppo per loro, a norma di statuto, insieme al governatore cadono tutti. E ora il Lazio deve tornare al voto.

Ieri sera, nella conferenza stampa in cui ha annunciato l'addio, Polverini non ha usato mezzi termini contro i pidiellini arruffoni: "Interrompiamo la nostra azione a causa di un Consiglio che non considero più degno di rappresentare una regione importante come il Lazio. Questi signori li mando a casa io, senza aspettare ulteriori sceneggiate: con questi malfattori io non ho nulla a che fare. Io e la giunta arriviamo qui puliti".

Quanto all'ingordigia dei consiglieri, alle ostriche e ai festini pagati con i soldi dei contribuenti, Polverini ha giocato la carta del governatore che cade dalle nuvole: "Mai avrei immaginato che con quelle ingenti risorse tutti, nessuno escluso, facessero spese sconsiderate ed esose". Anche se tanta ingenuità fosse reale, non sarebbe comunque un'attenuante. Anzi. Ma è davvero credibile la storia del Presidente che governa a sua insaputa con una maggioranza di "malfattori"? Certo che no.

E' Polverini stessa a darne conferma in chiusura di conferenza stampa. Quando decide di levarsi l'ultimo macigno dalla scarpa, l'ormai ex governatrice si contraddice clamorosamente: "Adesso mi sento libera, prima mi sentivo intrappolata come in una gabbia. Da domani ciò che ho visto lo dirò. Le ostriche viaggiavano comodamente già nella giunta prima di me, quindi io non ci sto, non ci sto alle similitudini e nessuno si permetta di dire una parola su me e i miei collaboratori". Allora sapeva tutto? Che fine ha fatto quel "mai avrei immaginato"?

Un altro salto carpiato arriva quando Polverini cerca di giustificare il ritardo con cui ha deciso di dimettersi. "Ho aspettato oggi anche per vedere le falsità dell'opposizione - ha spiegato -. Oggi potevano consegnare le loro dimissioni al segretario generale della Regione Lazio: né Pd, né Idv, né Sel lo hanno fatto, ma hanno tentato di scaricare le responsabilità sulla giunta".

Insomma, la decisione di abbandonare sarebbe ormai vecchia di una settimana. Ma se così fosse, Polverini avrebbe davvero un futuro nel teatro, visto che fino a pochi giorni fa sembrava avviata in tutt'altra direzione. "Se approvano i tagli in Consiglio, resto - aveva detto a proposito delle riduzioni di spesa rabberciate dopo lo scoppio dello scandalo -. Se il Consiglio dimostra, e sono sicura che farà così, che c'è la consapevolezza di poter andare avanti malgrado ciò che ho definito una catastrofe politica ancora da superare, saremo in grado di trasformare in questi due anni e mezzo la Regione".

In quelle ore a prevalere era il pressing di Silvio Berlusconi, che spronava la governatrice a resistere. Il timore del Cavaliere era che la caduta nel Lazio provocasse il tracollo del partito anche nella Lombardia di Roberto Formigoni, indagato per corruzione.

Ieri però, poco prima che Polverini desse il ferale annuncio, è arrivato l'affondo decisivo da parte del numero uno dell'Udc, partito che fin qui ha sostenuto insieme al Pdl la giunta Polverini: "Dopo il marcio che è emerso, con la cupola che è venuta fuori, qualcosa di schifoso, bisogna restituire la parola ai cittadini - ha detto Pier Ferdinando Casini -. Io mi auguro che il presidente Polverini faccia un gesto di dignità e ridia la parola ai cittadini laziali".

Il leader centrista fin qui aveva fatto da mediatore, senza mai attaccare direttamente il capo della giunta laziale. La sterzata è arrivata dopo che il cardinale Angelo Bagnasco ha scomunicato il malgoverno dei consiglieri: "Dalle Regioni sta emergendo un reticolo di corruttele e scandali - ha tuonato il presidente della Cei -, un motivo di rafforzata indignazione che la classe politica continua a sottovalutare". La classe politica ha recepito il messaggio.  

 

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