di Mariavittoria Orsolato

Secondo il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri la questione della TAV è “la madre di tutte le preoccupazioni”. Lo ha detto ieri, a margine di una conferenza stampa sulle misure d'emergenza che l'esecutivo starebbe approntando dopo il ferimento del dirigente Ansaldo Roberto Adinolfi. Una nota del Viminale, qualche ora dopo, spiegava che la "preoccupazione" riguarda solo le problematiche delle opere da realizzare per la Torino-Lione ma, dal momento che si parlava di terrorismo, la rettifica del ministro sembra davvero una foglia di fico.

Se non altro, grazie alla gaffe del ministro Cancellieri abbiamo scoperto quali sono le vere priorità del Governo. Non è lo spread, non è nemmeno il fatto che a marzo il debito pubblico ha sfiorato i 2.000 miliardi di euro. A non fare dormire la notte i nostri tecnici sono i No Tav e le pericolose infiltrazioni terroristiche che, secondo la Digos, il movimento attirerebbe come le api col miele.

Certo in questi giorni il tema “terrorismo” è un must delle testate nostrane, ma basterebbe un po' di memoria storica e di buonsenso per liquidare gli episodi di questi giorni come gesti di disperati o di  millantatori. Invece, soprattutto se si tratta della Valsusa, la tendenza delle maggiori istituzioni - stampa, governo e magistratura - è sempre quella di etichettare il dissenso come eversione, di ridurre la resistenza a becera violenza.

Ma se davvero le ansie del ministro Cancellieri riguardano solo la grande opera in se, allora fa bene a preoccuparsi di quello che succede sulla tratta Torino-Lione. Il suo problema - come quello di molti altri irriducibili Si Tav - è quello di correggere la miopia di sguardo e di riconoscere che le uniche infiltrazioni in Valsusa non sono quelle terroristiche, ma quelle mafiose.

Non è un mistero, infatti, che per la 'ndragheta il progetto dell'Alta Velocità sia un ghiottissimo boccone: i valsusini lo gridano da decenni e l'operazione Minotauro dello scorso giugno l'ha confermato con 142 arresti. Le indagini sono partite dalle dichiarazioni del pentito Rocco Varacalli, e per il procuratore di Torino Giancarlo Caselli - lo stesso che ha tacciato i No Tav di squadrismo e che a gennaio ne ha fatti arrestare 26 - il quadro emerso ha dimostrato chiaramente “risvolti inquietanti”.

I risvolti inquietanti sono i contatti con la politica e gli appalti delle aziende delle 'ndrine nella Pubblica Amministrazione. Pratiche che già Roccuzzo Lo Presti, organico al clan Mazzaferro aveva importato nel freddo Piemonte negli anni ’60. Lo Presti aprì proprio a Bardonecchia un negozio di abbigliamento, per poi prosperare in altri settori come edilizia, autotrasporti, bar, le immancabili sale da gioco e la ristorazione. Per i giudici è proprio Lo Presti a portare la mafia a Bardonecchia, e non a caso si era accasato con i Mazzaferro, già “attenzionati” nel 1976 dopo l’ottenimento di appalti per la costruzione del traforo stradale del Frejus, inaugurato poi nel 1980. 

Il matrimonio tra 'ndrangheta e Piemonte è quindi di lunga data, letteralmente delle nozze d'oro. Altre due inchieste, la prima nel 1984 e la seconda verso la fine del 1994, descrivono infatti le 'ndrine infiltrarsi negli appalti pubblici nell’alta Valsusa, fino allo scioglimento del comune di Bardonecchia il 28 aprile del 1995, primo comune del nord Italia ad essere commissariato per infiltrazioni mafiose. E anche all'interno della relazione della Commissione Parlamentare Antimafia del 1994, si censivano le presenze persistenti di ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra in Piemonte, confermando tutta una serie di situazioni sospette nel settore finanziario.

Già nel 1994 emergeva quindi chiaramente quella “zona grigia” fatta di professionisti, politici e funzionari pubblici su cui la mafia da sempre si appoggia per trasformare l’illecito in apparentemente lecito. Ciò nonostante, negli ultimi vent'anni la criminalità organizzata ha tranquillamente continuato a fare ottimi affari, grazie anche alle ghiotte occasioni degli appalti - e in particolare dei subappalti - per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e per l'Alta Velocità Torino-Lione.

Arriviamo così all'operazione Minotauro, in cui 191 persone sono state indagate - 142 delle quali incarcerate - e in cui viene sciolto per mafia il comune di Leinì, il secondo nella provincia di Torino. All'interno dei faldoni elaborati dalla procura di Torino, si fa chiaramente riferimento agli illeciti presenti nell'aggiudicazione della commessa per la recinzione del cantiere di Chiomonte, l'area dove sorgeva il presidio permanente dei No Tav e che è stata dichiarata di “interesse strategico nazionale” dall'ordinanza del Cipe.

Nell’ultima delle 604 pagine del dossier il colonnello Domenico Mascoli inserisce uno schema dei lavori aggiudicatisi da Foglia Costruzioni e condivisi con Italcoge spa della famiglia Lazzaro, vincitrice dell'appalto per la recinzione del non-cantiere della Maddalena: i carabinieri sottolineano uno snodo societario a loro dire cruciale, ovvero l’acquisto della fallita Foglia Costruzioni da parte di Finteco, altra società che riconducono al controllo occulto di Giovanni Iaria, arrestato con il blitz di giugno e personaggio di spicco della 'ndrangheta.

Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è un meccanismo noto: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d'appalto in virtù della presunta urgenza dell'opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d'opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La Direzione nazionale Antimafia, nella sua relazione annuale per il 2011, ha dato al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese e il flusso di denaro destinato alla TAV rischia di diventare linfa per il suo potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico.

La storia della TAV in Italia è la storia infinita di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi e questa, se non è “la madre di tutte le preoccupazioni”, è certamente una problema di cui il Viminale dovrebbe occuparsi con urgenza.

 

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