di Fabrizio Casari

Le elezioni amministrative sono certamente un banco di prova affidabile per misurare la temperatura del Paese. Sono ovviamente diverse da quelle parlamentari per la posta in gioco che contengono, per il ridotto peso dell’elemento ideologico a favore di una maggiore caratterizzazione sui temi locali, per il coinvolgimento di un numero di elettori minore che alle politiche, ma sono comunque il sondaggio d’opinione sulla volontà politica degli italiani; un sondaggio di gran lunga più affidabile di quelli presentati - su pagamento del committente - nei media di vario ordine e colore.

Erano mesi e mesi che i sondaggisti, editorialisti, analisti  e quanti altri “isti” si vogliano, spiegavano come la luna di miele tra gli italiani e Monti fosse ormai scolpita nella pietra come le sacre scritture. Addirittura, spiegavano, un partito impostato sul rigore e la sobrietà del Presidente del Consiglio avrebbe la maggioranza dei consensi, trasversali e dirompenti. E che succede? Succede che gli italiani sanciscono la scomparsa in un caso, il ridimensionamento in un altro e la mancata crescita nell’altro ancora dell’ABC della politica, cioè proprio di quel trio che sostiene Monti e la sua linea di politica economica.

Il PDL travolto, il Terzo polo che nemmeno riesce a nascere e il PD che sembra già vecchio. L’esito delle urne al primo turno delle amministrative pare lasciare pochi dubbi sulle opinioni politiche degli italiani. L’affermazione del Movimento 5 stelle - che solo Napolitano non vede - pur non rappresentando una risposta credibile alla crisi della politica, si spiega proprio con quel “rifiuto” dei partiti per come sono diventati. E il successo dei grillini è perfettamente sommabile al consolidamento di Sel e IDV, giacché racconta di un’area complessivamente all’opposizione del governo dei professori che trae beneficio dalla sottrazione all’ammucchiata generale dell’idillio con i cosiddetti “tecnici”. Che tecnici, sia chiaro, sono solo per incompetenza delle scienze politiche, ma le scelte che operano, invece, sono politiche a tutto tondo.

Non si deve commettere il grossolano errore di ridurre solo al “voto di protesta contro i partiti” il risultato elettorale che la tornata di amministrative ha indicato. I partiti, infatti, vengono colpiti dalle loro linee e inchiodati alle loro responsabilità: il Pdl da diciotto anni di governo degli affari privati del proprietario, a svantaggio di quelli pubblici; il cosiddetto Terzo Polo, rivelatosi come la classica creatura strozzata nella culla; il PD, che solo pochi mesi fa era indicato quale primo partito e che ora, con tanta fatica, mantiene più o meno le posizioni acquisite durante la lunga vacanza berlusconiana della politica italiana.

Perché a via del Nazareno sanno bene che la loro crescita è avvenuta sostanzialmente solo dove i candidati appartenevano (a seguito dei risultati delle primarie) a schieramenti posti alla sua sinistra. Sarà meglio che Bersani e compagnia tengano bene a mente questo voto, rivelatosi ben al di sotto delle aspettative che nutrivano. Il PD perde voti a sinistra, e ne perde tanti. Troppi forse per poter pensare di continuare a ignorare l’urgenza di rispolverare e colorare la foto di Vasto.

Il voto di domenica e lunedì ha detto in primo luogo questo: la politica del governo non è condivisa e i partiti che lo sostengono devono sapere che su questo crinale si giocano il loro elettorato. Ogni partito, tra coloro che appoggiano il governo, dovrà ora rifare per bene i suoi conti, dal momento che - soprattutto per quanto riguarda PDL e Terzo Polo - il sostegno a Monti sembra rivelarsi come un abbraccio mortale per le loro ambizioni di ripresa. Per quanto attiene alla Lega, invece, il macigno che l’ha seppellita, privandola di consensi ovunque, soprattutto in quelle che un tempo erano le sue roccaforti, spiega che l’emergere delle ruberie e delle cialtronerie padane, variamente allocate tra Gemonio, la Tanzania e l’Albania, hanno riportato alla dimensione originaria della boutade la combriccola di squinternati questuanti.

Ma sono comunque il PDL e il Terzo polo, cioè le due facce del conservatorismo italiano, a pagare il prezzo più pesante. D’altro canto il loro bene comune si chiama Mario Monti, la loro ricetta condivisa si chiama rigore dei conti e le differenze tra le diverse posizioni sono determinate solo dall’assetto proprietario del PDL, giacché le divergenze di linea sono leggibili solo ai più attenti ed attrezzati politicamente.

Così come in Francia, in Grecia, in Germania, anche in Italia il messaggio è chiaro. La crisi della politica nasce dalla crisi del sistema valoriale, dall’abbandono delle teorie politiche, sociali ed economiche di provenienza che ne contraddistinguono le rispettive identità. In assenza di ciò, la politica si riduce a padrona dei cittadini e serva dei mercati. Si autoavvita su se stessa perdendo ogni senso del legame tra rappresentanza e rappresentati e marcisce nella subordinazione totale alla speculazione finanziaria e ai centri di potere - palesi e occulti - che governano le scelte sul nostro futuro.

Non c’è un’unica strada per uscire dalla crisi e il riassetto dei conti non può diventare l’ennesima tappa del processo di accumulazione di liquidità monetaria e peso finanziario delle banche sulla pelle dei cittadini. L’Europa deve darsi gli strumenti politici e legislativi che impongano tecnicamente e politicamente il ritorno della sovranità all’Unione e ad i singoli paesi che la compongono. Il commissariamento dei tecnocrati al servizio dei capitali speculativi non può continuare. La politica deve tornare, con forza, a indicare le vie dell’economia e non il contrario. Perché, così dicono le urne, il denaro serve agli uomini, non viceversa.


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