di Carlo Musilli

E' stato un weekend di esercizi spirituali per Roberto Formigoni, ma si può immaginare che il governatore lombardo abbia ancora motivi di turbamento. Mentre lui allenava l'animo cristiano a Rimini insieme ai sodali di Comunione e Liberazione, la sua portavoce, Gaia Carretta, si scatenava nell'ennesima arringa difensiva basata sul mantra berlusconiano del "non è vero niente".

Secondo Carretta, i "pagamenti forse riferibili a carte di credito del signor Pierangelo Daccò" per "alberghi e ristoranti, porti e cantieri nautici" non sono stati mai, "e sottolineiamo mai, effettuati per conto o a vantaggio del presidente Formigoni". Lui, il Celeste, in mezzo alla "sua gente", ribadisce che quello in atto è un "politico e mediatico senza fondamento", ma "quando ti tirano vagonate di fango, ti sale l’adrenalina". Traduzione: fatela finita di chiedere le mie dimissioni, non ci penso nemmeno.

Ma se l'attaccamento alla poltrona è troppo forte anche solo per ipotizzare quello che con ipocrita eufemismo oggi si chiama "passo indietro", Formigoni sarebbe quantomeno tenuto a dare delle spiegazioni. Ad obbligarlo non è la legge (non ancora), ma le responsabilità sottese al ruolo pubblico che ricopre e che gli consente di maneggiare ogni anno somme di denaro oceaniche.

Il Celeste, è bene ricordarlo, non è (ancora) ufficialmente indagato, ma su di lui - diciamolo chiaramente - aleggiano sospetti di corruzione. La procura di Milano indaga su 70 milioni di euro della clinica Maugeri di Pavia che sarebbero stati dirottati all'estero come fondi neri. Soldi da usare - anche se questo capo d'accusa non è stato ancora formalizzato - per corrompere amministratori pubblici.

Tra i vari dettagli emersi dall'inchiesta, quello che maggiormente pesa sul nome di Formigoni fa riferimento al capodanno 2009. Si sospetta che all'epoca il governatore abbia preso parte a un "viaggio di gruppo" nel resort più esclusivo del pianeta, l'Altamer di Anguilla, nei Caraibi. A pagare il viaggetto morigerato da ciellino doc sarebbe stato Pierangelo Daccò, un faccendiere (Lavitola docet) che lavorava come consulente per varie aziende sanitarie appaltatrici - guarda caso - proprio della Regione Lombardia. In carcere ormai da cinque mesi, il buon Daccò avrebbe speso solo per questo piccolo "investimento" più di 13 mila euro.

Di fronte a sospetti di questo tipo, l'autodifesa di Formigoni è stata fin qui un autogol dietro l'altro. Nel tentativo di rappresentare se stesso come l'amministratore pio e timorato, il Presidente lombardo si è dimenticato di portare all'attenzione dei cittadini la benché minima prova concreta della sua innocenza. E nella goffaggine delle ultime uscite pubbliche - dagli insulti ai giornalisti al grottesco paragone con Gesù Cristo - ha finito per avallare indirettamente le tesi degli accusatori.

Il Celeste, ad esempio, ripete come un disco d'aver pagato di tasca propria ogni scappatella caraibica. In una lettera alla rivista "Tempi", diretta dal ciellino Luigi Amicone (nomen omen?), Formigoni scrive: "Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho, le ho buttate".

Sorvolando sull'ammissione che a pagare in prima istanza sia stato proprio il faccendiere oggi galeotto, l'obiezione di non aver conservato quelle carte a distanza di anni parrebbe tenere. Peccato che, volendo, basterebbe richiedere la documentazione sui movimenti bancari di quel periodo per dimostrare a tutti d'aver pagato la propria quota. L'opinione pubblica non può costringerlo a un passo del genere, ma il buon senso dovrebbe farlo.

Allargando la prospettiva, i pasticci del governatore appesantiscono ovviamente i guai del Pdl. Nonostante un sostegno formale e gelido alla difesa formigoniana, è evidente l'intenzione dei berluscones di smarcarsi da un pantano che promette conseguenze imprevedibili. La dimostrazione più chiara è arrivata da Angelino Alfano, che giovedì scorso ha parlato per un quarto d'ora con Formigoni, evitando con cura ogni possibile gesto compromettente: non ha accettato né l'invito al Pirellone, né quello a una conferenza stampa congiunta. Ha rifiutato perfino di farsi fotografare in compagnia del governatore. Insomma, Alfano non vuole metterci la faccia. Manca ormai pochissimo alle amministrative e i problemi interni sono già abbastanza: dal naufragio della Lega alla fronda di Pisanu, passando per le gare di burlesque in quel di Arcore.

A questo punto Formigoni è solo. Pare che, dietro le quinte, lo abbiano abbandonato perfino i fratelli di Cl. Ma a ben vedere la via crucis del Celeste non è cominciata nelle ultime settimane. Da luglio, nella Regione Lombardia sono stati indagati o arrestati 10 politici. Le inchieste coinvolgono quattro membri su cinque del consiglio di presidenza. Di recente, il presidente Davide Boni (della Lega) si è dimesso, idem gli assessori Rizzi e Saulle. Senza contare le celebri gesta del consigliere Renzo Bossi. Non per fare gli esterofili, ma in diverse parti del mondo tutto questo sarebbe più che sufficiente perché un governatore si dimettesse. La baldoria ai Caraibi sarebbe la ciliegina sulla torta.

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