di Rosa Ana De Santis

Il giorno della Liberazione è passato, portandosi dietro il consueto strascico di polemiche e divisioni. La festa è nazionale, non v’è dubbio. Un battesimo collettivo di libertà che però non ha, né può avere, per protagonisti tutti, indistintamente. La piazza e la memoria sono dei partigiani di allora e di chi in quella resistenza si riconosce. Per una volta, come fu allora,  ideologia e storia non rimasero distanti e le idee dell’una s’incarnarono nei fatti dell’altra. Fu per poco, ma fu così.

Per questo nel corteo della memoria la presenza delle Istituzioni, specie di quelle di oggi, così asciutte di idee, incastrate nei tecnicismi a freddo, così poco fatte di politica, sembra quasi un annesso accessorio, ininfluente, se non fastidioso per certi aspetti. La polemica spicciola è stata tutta su Roma e interamente ruotata intorno all’assenza del sindaco Alemanno, della Governatrice Polverini, dell’aspirante sindaco Zingaretti.

La formalità del rischio di violenze serve solo a non dire l’unica verità che tutti sanno bene. In piazza ci devono stare i partigiani e non i cittadini di qualsiasi pasta. I signori della destra, gli alleati dei nostalgici, gli stessi seguaci della allora repubblica di Salò sono fuori posto più che in pericolo; non sono voluti, sono gli sconfitti, erano e rimangono nemici.

E non c’è corona di alloro e cerimonia sul Vittoriano che possa cambiare come le cose sono effettivamente andate. Del resto, uno come Storace, icona sanguigna di quella  destra che non si è mai vergognata del passato, ha anticipato già prima della commemorazione, che il 25 aprile andava passato a dormire e riposarsi, dal momento che non gli risultava alcuna festività in calendario. Questa è la verità.

L’ANPI si era espressa chiaramente sulla modalità di partecipazione al corteo della memoria. Sarebbe bastato sconfessare i movimenti dei neofascisti per aderire. Il minimo sindacale per le persone che hanno studiato un po’ la storia. Non è arrivata nessuna risposta formale a tale richiesta. Ecco le assenze come si sono consumate, nessuna espulsione.

Più inquietante l’assenza del presidente della Provincia di Roma Zingaretti che, apparentemente ossessionato dalla voglia di smarcare ogni conflitto e polemica, sembra soprattutto un po’ troppo proiettato a fare il sindaco di “tutti i romani”. Ma proprio tutti. Forse, vorremmo chiedergli, anche quelli che non ricordano più la storia e il valore assoluto di una liberazione come fu quella culminata il 25 Aprile 1945.

Liberazione dai nemici invasori e dai loro alleati italiani, torturatori e assassini oggi impunemente rivisitati alla stregua di "giovani idealisti"; liberazione dall’oppressione di una tirannide, culturale e fisica, sociale e ideologica, che distrusse il paese. Tutti erano chiamati ad una lezione di storia e di decenza, anche quelli che hanno provato a trasformare persino l’ANPI in un cordone di facinorosi. Come mai è stato, la ragione non ha bisogno di redimersi.

L’ecumenico Quirinale ha provato a chiudere a tavolino le polemiche, invitando tutti a ricordare il 25 Aprile chiusi nel palazzo e lontani dalle piazze. Napolitano ha speso parole contro i demagoghi e il populismo e ha ricordato il ruolo fondamentale dei partiti e delle idee nella politica. Chissà se questa pacificazione di forma non servirà ad annebbiare un po’ le legittime distanze e la verità della storia nella percezione collettiva.

Perché il sangue versato, a differenza di quanto dichiara Renata Polverini, non fu tutto uguale. Quello dei vessati e delle vittime non è mai uguale a quello dei carnefici. A questo dovrebbe servire la politica. A custodire i fatti, a non annacquare le differenze e ad orientare le azioni secondo le idee che a quei fatti sono sopravvissute. E le idee non sono mai tutte uguali.

Peccato che la politica sia grande l’assente di questo 25 aprile. E’ la solitudine dell’ANPI la vera notizia di quest’anno. E’ il governo dei banchieri o, ancora meglio, il silenzio delle forze politiche del paese a togliere peso alla memoria e a consegnarci un futuro che è cominciato senza il barlume di un’idea.

La celebrazione sono ormai solo dell’unica ideologia rimasta, quella del dio denaro e del profitto, che dismette ogni valore, proprio perché non ne considera altri al di fuori del suo.

Quei partigiani e tutti coloro che dalla loro parte stavano e stanno, non avevano questa idea di nazione quando sfidavano morte, torture e carcere. Credevano in una società giusta, fatta di liberi e uguali.

Siamo noi a non esser stati capaci di raccogliere quei fazzoletti e quelle insegne. Autoavvitati tra revisionismo storico e spread, compiamo come unico atto dovuto quello di onorare la memoria. Almeno così, Bella Ciao non smette di suonare.

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