di Rosa Ana De Santis

Siamo partiti qualche giorno fa con le foto della rianimazione a terra di un paziente nel Pronto Soccorso del San Camillo, per poi passare alla donna in coma legata alla barella nel Policlinico Umberto I sempre di Roma. La visita del senatore Marino nello stile di un autentico blitz, ha portato sulle pagine dei giornali quanto numerosi cittadini patiscono ogni giorno sulla propria pelle. Attese in barella stipati l’uno sull’alto, non importa la gravità della patologia o del codice, personale sanitario costretto a lavorare in situazioni di degrado, file interminabili con una gestione del DEA che suscita più dubbi che rassicurazioni.

La governatrice della Regione Lazio, mentre convoca tutti i direttori sanitari dei nosocomi che hanno un DEA al proprio interno, si affretta a dichiarare che i pazienti al centro dello scandalo hanno tutti avuto adeguata assistenza sanitaria. Intende forse dire la Presidente che è in linea con la qualità del servizio sanitario che una persona in coma sia lasciata su una barella, in attesa di ricovero, legata perché non cada?

Prosegue dunque l’ispezione dei NAS negli ospedali romani, fortemente voluta dal Ministro della Salute, Balduzzi. Si dimostra almeno l'intenzione del governo di intervenire con urgenza nel buco nero della sanità e che anticipa una riorganizzazione globale di alcune prestazioni sanitarie, in primis l’Intra Moenia finora rimasta marginale, nonostante la legge del 2007 parli chiaro, per inadeguata organizzazione dei nosocomi e quindi spesso spostata negli studi medici privati.

La questione appena citata, che sta già scaldando i camici bianchi e il rischio di avere meno libertà per prendere lo stipendio del pubblico mentre si passano giornate intere negli studi privati, racconta solo una parte della storia degli ultimi dieci anni di sanità pubblica italiana. Vessata dai tagli, convertita alla logica deteriore dell’aziendalizzazione e del profitto che male si associa ad un’attività che non potrà mai diventare motore di business, se non attentando alla salute delle persone come tanti scandali raccontano molto bene. Basta ricordare l’orrore della clinica milanese S. Rita e la macelleria chirurgica pianificata a tavolino per fare cassa.

Quello che accade a Roma, e non da una manciata di giorni, come la politica dall’alto vorrebbe far credere, non è più uno scandalo per nessuno e il modello laziale, in stato di commissariamento e di pesante debito che rischia di far mettere i sigilli ad un policlinico come il Gemelli, tanto per fare un esempio, è speculare a quello che accade nella Lombardia con il sistema Formigoni. I due sistemi si somigliano: ammiccamenti alle strutture in convenzione, mentre si procede a tagli con l’accetta per il sistema pubblico, che minano il diritto alla salute di migliaia di cittadini come la chiusura indiscriminata dei pronto soccorso del territorio voluta dal Piano Polverini ha generato, intasando gli ospedali capitolini per far tornare i conti e lasciando a piedi cittadini, paesi e comunità.

Se è vero che l’intasamento dei pronto soccorso genera le scene che abbiamo visto in tv, è vero anche che questo accade per l’assenza di strutture di accoglienza ad hoc sul territorio. Il sistema sanitario nazionale è ufficialmente al collasso, eccezion fatta per alcune regioni virtuose (Toscana, Marche, Emilia, Umbria), con alcune situazioni di allarme, come quella del Lazio, che non ha visto mai significativi cambi di rotta, nonostante l’alternanza del colore politico, da quando il liet motiv della compatibilità aziendale è divenuto il principio e la fine della prestazione d’opera dovuta. Ma, va detto, il livello vergognoso raggiunto con la giunta Polverini e i suoi commissari politici non ha precedenti.

E’ forse arrivato il momento che la politica torni ad essere responsabile di quello che accade negli ospedali di un paese che vuole essere annoverato nel consesso degli stati più sviluppati. Le ispezioni che hanno acceso soltanto ora tutti i riflettori devono diventare un tribunale costante sul lavoro dei sanitari e sulla vita dei pazienti. Urge riconsegnare al mandato costituzionale la sanità pubblica: è il solo modo affinché scorciatoie, liste d’attesa interminabili, macchinari spenti e ambulatori deserti diventino il problema da affrontare e superare.

Serve un’indicazione sul futuro e può arrivare solo dalla messa in soffitta della cultura mercatista della salute, che - come da modello privatistico statunitense - tratta la sanità come un affare e i malati come un costo. I risultati eccellenti della Regione Toscana, che offre servizi di primo livello e contabilità positiva, dimostrano che la cultura politica che ispira quella sanitaria fa la differenza nell'erogazione del servizio. Cominciare dunque a curare il paese dai danni del mercatismo è il primo passo per ricominciare ad occuparsi della sanità pubblica con le risorse e l’attenzione che i suoi malati meritano.


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