di Carlo Musilli

Il mirino del governo ha cambiato obiettivo: dopo le pensioni, il nuovo bersaglio sembra essere l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che vieta i licenziamenti senza giusta causa. Ora che la manovra economica è passata alla Camera - con annessa rivoluzione della previdenza - l'approvazione definitiva al Senato entro Natale è una pura formalità. Per questo l'esecutivo può concentrarsi su quella che è stata definita come "fase due", al centro della quale dovrebbe essere appunto la riforma del lavoro.

L'allarme è scattato dopo l'intervista a Elsa Fornero pubblicata ieri dal Corriere della Sera. In riferimento all'articolo 18, il ministro del Welfare sottolinea che non si tratta di un "totem", quindi invita "i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte". E sarebbe davvero la prima volta per questo governo, vista la totale mancanza di contrattazione che ha preceduto la manovra, scritta e approvata in tempi record.

Ma il passaggio più significativo dell'intervista è questo: "Penso che un ciclo di vita che funzioni - dice Fornero - sia quello che permette ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto". Il tutto con un corollario fondamentale: "Certo che la contrattazione è materia delle parti. Noi vogliamo però spingerle non a ridurre i salari, ma a riflettere sulla possibilità di avvicinarli il più possibile alla produttività".

In sostanza, questo potrebbe voler dire l'estensione della precarietà anche ai lavoratori a fine carriera. Per disinnescare il trucchetto del prepensionamento, usato dalle aziende per liberarsi dei dipendenti anziani - più costosi e meno produttivi dei giovani - si pensa di mettere a punto anche per chi è ormai in là con gli anni dei contratti "flessibili" e a stipendio ridotto rispetto agli anni di gloria della carriera. La modifica non interesserebbe i contratti già in essere, ma quelli a venire. Almeno in questo campo i diritti acquisiti dovrebbero così essere rispettati.

Spostando lo sguardo sui più giovani e facendo due più due, sembra proprio che il fantasma di Pietro Ichino stia rientrando dalla finestra. D'altra parte, non è mai stato un mistero che questo governo puntasse a seguire i binari tracciati dal giuslavorista e senatore (eterodosso) del Pd.  In sostanza, il modello Ichino prevede che le assunzioni a tempo indeterminato arrivino dopo un periodo di prova di sei mesi, durante il quale non varrebbero le tutele dell'articolo 18. E anche dopo aver firmato il contratto più solido, l'impresa potrebbe comunque allontanare i dipendenti per motivi di crisi economica. Basterebbe pagare loro un'indennità proporzionale alla durata del rapporto di lavoro.

Ora, il vero nodo della questione è quello degli ammortizzatori sociali. E' necessario rafforzarli per tutelare chi il lavoro l'ha già perso, sta per perderlo o non l’ha mai trovato. Il Pd chiede che si parta da questa riforma prima di ipotizzare modifiche al'articolo 18.

Ma il welfare è un costo e con questi chiari di luna trovare altri soldi pubblici da spendere sembra una chimera. Difficile anche che il governo scelga di seguire fino in fondo la ricetta Ichino, che prevede per i lavoratori licenziati la tutela di un'assicurazione a carico delle imprese. Alzare adesso il cuneo fiscale vorrebbe dire con ogni probabilità dare il colpo di grazia alle aziende italiane, se è vero che l'anno prossimo il Pil del nostro Paese farà registrare un terrificante -1,6%, come ha annunciato la settimana scorsa il Centro studi di Confindustria.

Il rischio è quindi che la riforma del lavoro porti con sé maggiore precarietà senza alcuna nuova garanzia per i lavoratori. Una prospettiva che fa rabbrividire i dirigenti del Pd, già messi in guardia dalla reazione battagliera dei sindacati. Si spiega così l'atteggiamento prudente di Stefano Fassina: "È da apprezzare l'atteggiamento riflessivo del ministro Fornero - ha detto il responsabile economico dei democratici - dopo un adeguato approfondimento, la Professoressa concluderà come noi che l'articolo 18 non c'entra nulla con la precarietà dei giovani e con la crescita dell'economia".

Se invece non dovesse capirlo, il Pd potrebbe implodere proprio sulla questione che tanti mal di pancia ha causato all'interno del partito. Con il Pdl che si smarca ogni giorno di più dalle iniziative del governo Monti, per i democratici è arrivato il momento di prendere una posizione netta. Dopo aver perso una buona fetta di credibilità agli occhi del proprio elettorato con la pigra accettazione della manovra, devono fare in modo di non ricevere altre brutte sorprese.

 

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