di Carlo Musilli

Ieri il neo premier Mario Monti ha spiegato a noi e al Parlamento quello che intende fare dell'Italia. Il suo è stato un discorso asciutto, tutt'altro che rivoluzionario, soprattutto attento a distinguere il possibile dall'impossibile, considerando i precari equilibri di maggioranza, il filo su cui è costretto a camminare. Dal suo esecutivo ci aspettiamo tutti una sterzata importante, in grado di convincere i mercati e l'Europa che anche per il nostro Paese è possibile cambiare.

Dobbiamo però fare attenzione a non sconfinare nell'immaginario. L'entusiasmo dilagato fra molti per la caduta di Berlusconi non deve farci credere alle favole. Il compito del nuovo governo è essenzialmente di raddrizzare alcune delle storture causate da decenni di mala amministrazione. Ma è più che illusorio fantasticare su una metamorfosi sistemica: sarebbe una missione impossibile per una maggioranza bulgara nel corso di un'intera legislatura, figuriamoci per una squadra di tecnici che nella migliore delle ipotesi avrà a disposizione un anno e mezzo. Insomma, si tratterà di una medicina amara, non di un elisir miracoloso. Non stiamo per trasformarci in un paese scandinavo.

Anche se in campo c'è un team bocconiano, ancora una volta il nodo è politico. E' ragionevole credere che Monti avrà i numeri in Parlamento per far passare alcune riforme importanti, ma queste dovranno necessariamente avere il placet del Pdl. Stante il no a priori della Lega, infatti, se si tratterà di bocciare un Ddl la vecchia maggioranza dimostrerà di essere ancora viva al Senato e anche alla Camera potrebbe trovare il modo di dare il colpo di coda.

In termini davvero strutturali, questo significa che il nuovo governo non avrà problemi a portare a termine la riforma delle pensioni. Il Carroccio è contrario, ma i pidiellini no. Anzi, non vedono l'ora di scaricare il barile. Età pensionabile a 67 anni e abolizione degli assegni d'anzianità sono allo stesso tempo uno dei cambiamenti reclamati con maggior forza da Bruxelles e uno dei più gravi motivi di divisione con i vecchi alleati in camicia verde.

Altra misura accettabile dovrebbe essere la reintroduzione dell'Ici sulla prima casa (Vaticano escluso, naturalmente, a giudicare dal ripieno cattolico che farcisce il nuovo esecutivo). Anche il Pdl sa benissimo che non c'è motivo per opporsi a una tassa benaccetta più o meno ovunque, ma non avrebbe mai potuto riproporla sua sponte per non perdere la faccia, essendo stato questo uno dei punti centrali che gli ha consentito di vincere le ultime elezioni. Non dovrebbero esserci problemi anche per altri provvedimenti già previsti - seppur in modo più che fumoso - nelle ultime manovre estive, come l'inserimento dell'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione e il piano di dismissioni degli immobili statali.

Passiamo ora a quello che il nuovo esecutivo con ogni probabilità non potrà fare. In primis, la riforma che più vorrebbero dall'opposizione, quella elettorale. Berlusconi ha già detto ai suoi che non se ne parla: "Va cambiata, ma non da questo governo". Lo stesso discorso vale per l'ipotesi patrimoniale: anche su questo punto il Cavaliere è stato chiarissimo con Monti, ancor prima di cedergli il posto. Quanto agli eterni romantici che ancora sperano in una legge contro il conflitto d'interesse, è facile rispondere che, se non se ne sono mai occupati i governi con maggioranza di centrosinistra, non si può davvero pretendere da quello che oggi tiene le redini.

Il capitolo finanza merita invece un discorso a parte. Stavolta non sono in gioco solo gli equilibri parlamentari, ma la composizione stessa del Cdm. E' verosimile chiedere a questo esecutivo interventi pur auspicabili come la Tobin Tax (tassa sulle transazioni finanziarie), la riforma del sistema bancario o l'introduzione di nuovi argini alla speculazione? La risposta  non è difficile. Non serve nemmeno andare a studiarsi i rapporti fra i nuovi ministri e i vari istituti di credito. Basta considerare che l'effettivo numero due di Monti (con potere su due dicasteri: Sviluppo economico, Infrastrutture e trasporti) è Corrado Passera, fino a ieri ad di Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana.

Non voliamo troppo lontano con la fantasia, facciamo un passo alla volta. Auguriamoci che Monti duri abbastanza da contenere l'incendio che da mesi sta massacrando i nostri titoli di Stato. E magari riesca anche a ricucire i rapporti internazionali straziati da Berlusconi. Intanto, anche se non sembra, sarà sempre il Cavaliere a tenere in mano (quasi tutti) i fili. Perché alla fine quello che nasce dalla politica nella politica muore. E il Professore potrebbe trasformarsi senza volerlo nella manna dal cielo per la destra. Se raggiungerà la meta, l'onda emotiva del suo successo andrà a beneficio dell'Udc (non per niente Casini ha già tracciato un filo rosso, segnalando lo spirito democristiano che anima i nuovi governanti). Se invece fallirà, a soffrirne sarà il Pd, a lui collegato nella mente degli elettori dalla contrapposizione al Cavaliere. Intanto il Pdl si sarà riorganizzato. E che il prossimo candidato sarà davvero Angelino Alfano è ancora da dimostrare. 

 

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